17 aprile 2020

Coronavirus, il Roscio

Stava sempre davanti all'edicola di Mauro, fisso come un lampione, lì sulla sinistra. 
Appena arrivavo verso le 7:40, mezz'inchino e mille domande sulla Rai. 
Onestamente non ho mai saputo che nome avesse, né tantomeno cosa diamine facesse per mantenersi. 
Mi ricordava certi ragazzetti dei film irlandesi, con capelli spettinati che hanno litigato col barbiere, un sorriso sempre aperto alle cose più semplici della vita, di quelli che nei gruppi stanno simpatici a tutti.
Conosceva tutti a Testaccio, ma proprio tutti. E non faceva nulla per nascondere i suoi oltre 60 anni: con un viso così rubizzo poteva sembrare mio fratello o mio nonno.
Lo vedevi spesso fumare e parlottare al bar più frequentato del Rione, seduto fuori con quelli che almeno una volta nella vita si erano fatti i tre scalini di Regina Coeli, spesso per motivi per cui oggi neanche ti fanno la multa. 
Gente con ex muscoli sulle braccia, che di ceffoni ne avevano tirati e presi. Omoni con le mani piene di dita che adesso soccombevano alla presbiopia o alla calvizie, nascondendo gli occhiali da lettura dietro quelli da sole o tingendosi i tre capelli rimasti con lucido da scarpe comprato dai cinesi.
Gente de' popolo che guardava mia moglie e il sottoscritto con una curiosa miscela di bonaria tolleranza: noi, borghesucci viziati, perbene, profumati, laureati... figuriamoci noi della Rai, osservati a distanza come bestie rare - da amare e odiare al tempo stesso.
Un giorno, il Roscio non riesce più a scaricare uno dei suoi giochetti preferiti dallo smartphone. Mi chiede aiuto. Ma poi chiede anche aiuto a mia moglie per un problema sulla carta di credito. 
Era anche un po' in imbarazzo perché tra le foto conservate c'erano anche quelle della figlia: temeva che avremmo pensato fossero di origine dubbia... figuriamoci, un pezzo di pane così che perde tempo dietro donnine svestite.
Insomma, in dieci minuti riusciamo a svolgere i nostri favori con perizia e affidabilità. Lui ci guarda come se avessimo inventato la penicillina, ci offre due ciambelle grosse come uno stadio e un caffè bollente. Ci ringrazia in maniera plateale, davanti ai suoi amici, che immediatamente cambiano sguardo: da oscuri rappresentanti di una classe fastidiosa diventiamo gli eroi della giornata, della settimana, del mese e dell'anno.
Da quel giorno, ogni volta che lo incontravo, il Roscio si sbracciava sorridente con tanto affetto e amicizia. E io mi sentivo veramente fuori da questa autenticità, che invece farebbe tanto bene alla mia presunzione.
Sono almeno cinque anni che il Roscio vive fuori Roma. 
Chissà come sta vivendo questa quarantena.

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