07 aprile 2020

Coronavirus, morire con dignità

Da giorni penso spesso a un film che ha come protagonista una delle mie attrici preferite, Sarah Polley: "La mia vita senza me" (2003), di Isabel Coixet. 
Lei ha una malattia incurabile e ha i mesi contati. La sua prima preoccupazione è che non potrà gustare la crescita della figlia. Grazie al suggerimento del medico superempatico, decide di registrare una serie di nastri, la sua voce insomma: verranno consegnati alla piccola uno per volta, ad ogni suo compleanno. Bravi gli attori, storia commovente, trama plagiata anche recentemente. 
Vediamone un'altra, apparentemente simile.
In un episodio di Grey's Anatomy, un tipo sui 50 anni che sta per morire registra videomessaggi per moglie, figli, amici, colleghi, conoscenti occasionali. Quando sarà morto, uno dei medici dovrà poi spedirli uno ad uno ai diretti interessati.
Commovente anche questo, vero? 
Peccato, però, che fossero messaggi pieni di odio, di acredine, di livore, di rancori.
E la morale diventa ancor più asfissiante quando alla fine dell'episodio scopriremo che, nonostante il tipo sia miracolosamente guarito, deciderà comunque di spedire quei video.
Mi sono sempre chiesto cosa farei in situazioni simili. Chi tra voi mi conosce, crede di sapere la risposta, dimostrando quindi di non conoscermi affatto :-)
Al di là della battuta, nei film i tempi narrativi e le sospensioni per essere efficaci devono essere "visibili", rallentate, perché altrimenti lo spettatore potrebbe non capire, non partecipare, non abbandonarsi alla proiezione; anche il più navigato.
Vi porto un esempio, così sono chiaro. Durante le concitate scene d'azione, con zombi assedianti o dentro le battaglie cruente, in mezzo alla mischia i protagonisti parlano comunque tra loro, e in maniera chiara e intellegibile; intorno a loro tutto si è fermato, il rischio di morire resta sospeso in aria, la folla si dirada. Chiarito il contenuto della chiacchierata, tutto riprende a velocità normale.
Sono necessità della narrazione che accettiamo inconsapevolmente; altrimenti non andremmo al cinema, ma al parco a fare una passeggiata.
Ecco, io penso spesso a chi sta per morire di Covid-19. Svuotato, senza forza, senza pensieri, senza aria, fisicamente ormai distrutto, non potrà dire neanche una parola ai suoi cari, non potrà fermare il tempo e compiere un gesto d'amore.
Nulla di nulla, altro che sospensione filmica!
La vita reale non dà scampo: non consente, cioè, né scene eroiche né commiati gloriosi.
Oddio, avrei dovuto scrivere questi pensieri sparsi anche in occasione di altre morti, morti di qualsiasi tipo... lo so; ma non è questo il punto.
Il punto è che dovremmo pensare a tutto questo ogni qualvolta che diciamo "tutto non sarà più come prima".
Anche perché io non credo a questo "non sarà più come prima": secondo me, torneremo gli stronzi di sempre, altroché.
E dato che sarà così, nel barlume che ogni tanto abbaglia il nostro egocentrismo, cerchiamo almeno di ricordare che queste migliaia di disgraziati non hanno avuto una morte dignitosa, non hanno neanche registrato nastri di amore o di odio.
Nulla.

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