09 giugno 2020

Giuseppe Pastore LA SQUADRA CHE SOGNA

Anche oggi, a chi negli anni 90 aveva dai 14 anni in su, il solo pensare il suo nome scappa prima un sorriso, poi un brivido di emozione, e infine una nostalgia "serena", quasi un languore. 
Julio Velasco. 
Un argentino galantuomo come pochi: colto, intelligente, onesto, perbene, risoluto, determinato, mai domo, sempre pronto a ripartire, capace di mettersi subito in discussione. 
Un leader vero, dal volto umano ma anche dall'"occhio di tigre" (altro sorriso, lo so).
Spesso bastava l'impercettibile movimento di una sua mano per spostare le sorti di una partita o della rotazione terrestre.
In uno sport, poi, in cui non esiste il contatto fisico con l'avversario (né, sotto certi aspetti, con la propria squadra), e in cui buona parte dei propri movimenti è alla cieca, visto che si passa quasi un terzo della partita dando le spalle ai propri compagni di squadra - o comunque contando solo sui riflessi collaudati e la fiducia reciproca che bisogna forzatamente avere per poter vincere.
Altro che i proverbiali centimetri di Al Pacino in Ogni Maledetta Domenica! La pallavolo è una competizione che divora i nervi, che lima la pazienza fino alle ossa, che ti sbriciola se non sei capace di governare i tuoi umori e quelli della squadra.
E prima dell'arrivo di Velasco, la Nazionale aveva recitato solo una parte della propria essenza italica, quella permalosa e arrendevole, quella che dà sempre la colpa agli altri e si siede guardando sempre e solo indietro.
Velasco la trasmutò prima in una micidiale formazione e poi in un "metodo" che sopravvisse prima ai primi protagonisti e poi a se stesso.
Il leader vero si vede proprio in questo: quando, cioè, le sue idee e il suo metodo sono vincenti e validi ben oltre la sua figura.
Citando una nota canzone coeva, Jacopo Volpi la definì la generazione di fenomeni; il sottoscritto, meno ricercatamente, la mia formazione sportiva preferita in assoluto, che ho seguito con passione e dedizione fino alla disfatta di Atlanta; finalissima che durò un'eternità e che seguii sempre in piedi a due centimetri dallo schermo, scontando poi un micidiale mal di schiena e di denti per almeno una settimana.
Questo splendido resoconto/cronaca/racconto di Giuseppe Pastore vi terrà inchiodati dalla prima all'ultima pagina, anche se non siete appassionati di pallavolo o di sport, perché si parla di persone, di personalità, di idee e di tante cose che hanno reso migliori i protagonisti di quelle gesta e forse anche il lettore che saprà farsi travolgere.

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