01 ottobre 2020

Mafalda, Quino, l'innovazione che non sapevamo

La morte di Joaquín Salvador Lavado Tejón, Quino insomma, ci dice molte più cose di quanto ne suggerisca il dolore che proviamo per la perdita di un amico. Perché questo è stato Quino per molte generazioni: un amico. Forse più di Schulz e Mordillo: il primo (adorato da Quino stesso, va ricordato) era intriso di uno psicologismo a volte struggente, spesso doloroso; il secondo era più paradossale che attento alle pulsioni del mondo. Eccellenti entrambi, per carità, ma nessuno dei due portava con sé alcuni valori aggiunti tipici di Quino. 
Quino, infatti, è stato il primo a dare una voce femminile alla satira, ma anche al fumetto in generale. È vero che Mafalda nasce quasi per caso, a ridosso di una pubblicità commissionata per una lavatrice, ma è anche vero che Quino la trasforma pressoché immediatamente in uno strumento ironico e irriverente, ma anche di polemica e di denuncia politica e sociale, dissimulate e raffinatissime, mai ridondante o stucchevole.
Un femminista ante litteram? Forse. Ma quello che è incontrovertibile è la prospettiva intrinsecamente femminile di Mafalda: Mafalda non è un uomo che parla dal corpo di una bambina! Mafalda è femminile sotto ogni possibile aspetto; e la sua forza critica e ironica sono femminili al cento per cento.
Poi: Mafalda è comprensibile a chiunque. Bambini o grandi, ricchi o poveri, stupidi o colti, comunque capivano Mafalda. Quino riusciva a lavorare su più livelli senza giochicchiare col mestiere.
Poi: Mafalda conosceva i problemi della famiglia, quelli quotidiani e quelli eccezionali. E li conosceva sia dalla prospettiva dei figli che da quella dei genitori, con linguaggi acconci in entrambi i casi.
Poi: Mafalda intuiva le contraddizioni della società borghese, non solo quella argentina: ne coglieva gli aspetti coevi ma anche quelli di sempre. 
Poi: Mafalda faceva anche politica, colpendo sia la realtà argentina (prima ancora che diventasse evidente la dittatura che covava da tempo) sia la realtà sociale contemporanea. Ed era una satira che aveva senso e forza indipendentemente dal contesto. 
Poi: Mafalda sapeva essere anche surreale, senza forzare la mano o senza correre dietro a sofisticatezze che poi magari andavano troppo spiegate.
Lo stile di Quino non era autoreferenziale. I nostri umoristi o quelli francesi avrebbero molto da imparare.
Quino non era neanche volgare. 
Quino non era saccente. 
Quino non era dogmatico. 
Quino non aveva bisogno di spiegarsi tramite baloon esplicativi, ma soprattutto non aveva bisogno di essere spiegato. La sua grammatica stilistica era seconda solo a quello di Trojano, vero e proprio maestro dell'universalità delle sole immagini.
Quino aveva un tratto elegante e liquido, lineare e pulito, con una capacità di caratterizzare cose e persone con minimi cenni grafici, immediatamente riconoscibili da chiunque.
Quino ha avuto il coraggio di smettere di disegnare Mafalda quando si accorse di non avere più niente da dire! 
Quino se n'è andato troppo presto... e a noi restano solo i diari di scuola che sbirciavamo di nascosto, ridendo come pazzi, rischiando poi di essere mandati dal preside. Ma ne valeva la pena.

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