02 dicembre 2020

LA REGINA DEGLI SCACCHI

Vista dalla prospettiva di un maschio, La regina degli scacchi è una miniserie molto elegante, divertente, con humor dissimulato e un certo nonsoché di impalpabile che la rende addirittura seducente.
Ho volutamente premesso con "dalla prospettiva di un maschio" perché nel commentario femminile che ho finora incrociato è stato un coro unanime di approvazione per il femminismo che la miniserie emana. 
Ecco, se per femminismo intendiamo rivendicazioni, denuncia, narrazione del gap di genere, dimostrazione della pochezza maschile, è vero: è un film veramente femminista. Prepotentemente femminista. 
Il suo gran pregio è di essere un femminismo liquido e nel contempo netto, senza compromessi, senza fronzoli, senza nevrosi, senza grida, senza ditini moralisticheggianti, senza sentenze etiche, senza machismi forzati. 
Ed è anche femminile. Ed in questo suo essere femminile si dimostra una storia ancor più forte e potente, di quelle cui in futuro si riconosceranno meriti sicuramente più profondi di quanto non si stia facendo in questi giorni.
Anya Taylor-Joy è di una bravura eccellente: lavora sempre per sottrazione, non ammicca, non esagera, non cerca il gesto totale. Recita il suo ruolo: recitandolo, gli rende merito. Grande, grandissimo pregio.
Tutti i personaggi comprimari sono sempre alla pari: non lavorano, cioè, per dare spazio alla protagonista, ma fanno parte della sua vita. Due lacrime di commozione in più per il primissimo mentore e per la madre adottiva.
Musiche originali forse troppo inclini a Eric Satie (peraltro citato un paio di volte) e al Michael Nyman del "periodo Greenaway"; quelle degli anni '60, invece, a volte di nicchia, ma comunque azzeccate.
Il montaggio di Michelle Tesoro è ben congegnato, e sempre attento ai tempi delle recitazioni e a quelli delle pause.
La fotografia di Steven Meizler mi è sembrata pastosa, a volte troppo. Prendete, ad esempio, quella di The Crown: guardate come vengono curati dettagli e insieme allo stesso tempo. Qui, invece, c'è troppa mappetta cromatica. In più, non si distinguono i momenti reali e quelli onirici; il che confonde, togliendo un po' di leggerezza ai momenti interiori raffigurati anche dagli scacchi sul soffitto. È la prima prova di rilievo di un antico primo operatore di numerosi film di Spielberg. Insomma: bravo, "ma".
La sceneggiatura di Scott Frank è addirittura propedeutica per chi volesse praticare la sua professione: riesce ad appassionare anche se non si conoscono bene gli scacchi. Restituisce, cioè, la percezione della battaglia in corso, delle difficoltà tecniche, della competizione. L'unica sbavatura è nella sesta puntata, dove ad un certo punto sembra fermarsi per poi riprendersi solo alla fine: in effetti, erano previste sei puntate iniziali; e lo script ne ha risentito.
Un saluto anche all'autore del romanzo di riferimento: quel Walter Tevis che regalò perle come L'uomo che cadde sulla Terra e Lo spaccone (con tanto di sequel). Tutti tradotti con successo anche per il cinema.
Mi raccomando, guardatelo in originale.

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