10 dicembre 2020

Rossi, PAOLO ROSSI

Sono quei momenti in cui ti arrampichi nella libreria della tua Memoria e tiri giù di tutto, ingolfando i tuoi ricordi fino a riempirti gli occhi di lacrime piene di languore e di tristezza e di tutte quelle immagini così solari e perdute che non potranno mai raccontare per intero cosa siano stati quegli anni.
ZoffScireaGentileCollovatiBergomiCabriniOrialiTardelliContiRossiGraziani, come un mantra, con tutte le poche variazioni sul tema, Caùsio compreso, con quell'accento buttato a casaccio.
Brontoliamo spesso sulle differenze generazionali, spesso a torto o con quei toni di superba commiserazione per il giovane che ci capita a tiro. Ma bisogna anche ammettere che il divario generazionale tra noi e le generazioni successive è un solco profondo e inesorabile: i modelli sono totalmente diversi; anzi, quasi di mondi che neanche si potrebbero mai toccare. Modelli, Mondi e la misura del tempo.
Ecco, il Tempo.
Byron diceva che quelle del tempo sono "ali arbitrarie", ma a chi ama il calcio frega nulla di questo spocchioso poeta inglese. Quello che è vero è che i tempi in cui noi vivevamo il Tempo erano veramente a misura di persona. 
Mercoledì di Coppe, domenica 90esimo minuto, agosto c'era il mercato e i nuovi arrivi, persino i giornali avevano meno fretta per raccontare cosa accadeva. Le partite non erano un tanto al chilo e le interviste - per quanto sempre uguali - sembravano uscite da un doposcuola artigianale.
I giocatori per primi erano responsabili dei toni che usavano e del modo di giocare, perché sapevano che venivano emulati, imitati, ricalcati, ripetuti. Ma non certo per la pettinatura o per la topona fotografata accanto a macchine stellari (per carità, c'erano anche quelle), ma perché erano come noi. Letteralmente.
Quei giocatori avevano facce che avresti incontrato all'alba dentro la metropolitana, o quelle degli avventori del bar cappuccinoecornetto, o quelli che sfiori dal giornalaio scambiando giusto un saluto educato.
Paolo Rossi non era il riscatto di una generazione: era quella generazione. Lo sappiamo, il riscatto è intriso anche di fiele e rancori, mentre nel caso di Paolo Rossi era "solo" l'uomo qualunque che dimostrava di potercela fare con i propri mezzi, autentici, veri, onesti, puliti.
E solo certi giornalisti potevano ricordare il suo coinvolgimento nello scandalo delle scommesse, quando è stranoto e ormai dimostrato che non aveva fatto proprio nulla; giornalisti che però perdonano a Maradona cose decisamente riprovevoli e altrettanto documentate.
Ma il punto è che quei ragazzi del 1982 ci donarono il senso vero della gioia, quella ancora autentica e spontanea, tutt'altro che prefabbricata o studiata a tavolino, con un Presidente della Repubblica sanguigno e coerente, che tanto onore e lustro diede a una Nazione martoriata da anni bui e violenti.
Paolo Rossi sei tu che leggi, genitore o figlia o figlio in quegli anni, oppure il mio io bambino, che il giorno dopo festeggiava 16 anni. 
Paolo Rossi è quel bambino secchetto e anonimo che conquista la vetta del mondo e che si ostina a restare dolce e umile, lentamente assediato da un'èra in cui gli eroi non emozionano più e lasciano dietro di loro solo byte e sponsor.
Al cinema, i cavalieri sono eroi senza macchia e senza paura, non temono freddo, ferite o sconfitte. Finisce sempre bene e senza remore o timori.
Nella realtà, invece, i cavalieri del 1982 erano in carne ed ossa, con quei nomi stampati a fuoco tra i singulti e la commozione: ZoffScireaGentileCollovatiBergomiCabriniOrialiTardelliContiRossiGraziani

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