Chi sono gli assassini? Perché venivano chiamati in questo modo? Ma, soprattutto, che peso hanno avuto nella Storia dell'Islam?
Scritto negli anni 50, e pubblicato da Adelphi pochi anni fa, questo splendido saggio è forse più per addetti ai lavori, ma fino ad un certo punto: se ci si lascia andare senza porsi domande e senza correre dietro a certe complessità, è uno splendido compendio di Storia e Filosofia di una religione che non conosciamo mai abbastanza.
Innanzitutto, la cosa più facile: anche e solo andando a intuito, è chiaro che gli assassini non facessero uso di droghe, perlomeno per uccidere. L'hashish non eccita, semmai rilassa - e in alcuni casi rincoglionisce. E, infatti, il vero nome dei componenti questa setta è Naziriti, nati intorno all'anno Mille da uno scisma dell'Ismailismo, a sua volta ramo consistente del movimento sciita.
Il libro è quasi diviso in tre parti, dove la prima è tendenzialmente storica, la seconda quasi del tutto dialettica, la terza (la più breve) contenente alcuni dei testi naziriti più probanti.
Facendo una sintesi semplicistica e dozzinale, viene da dire che il movimento sciita, in tutte le sue possibili divergenze, aveva al centro della sua prosa spirituale l'individuo, mentre il sunnismo puntava più all'essenza della figura di Allah.
Colpisce, insomma, che mentre il sunnismo riusciva ad amalgamarsi con le diverse realtà che incontrava, lo sciismo privilegiava il pensatore del momento, la figura che riusciva ad esprimere una visione dell'Islam più coraggiosa o addirittura rivoluzionaria. Ecco perché alla lunga la sunna ha retto alle insidie del tempo: perché duttile e incline a non accodarsi a una singola figura, potenzialmente limitata dal corso della vita (e delle numerose guerre intestine e/o esterne).
Fatto sta che le figure trattate, i momenti storici descritti - e anche una certa passione dell'autore, aiutano a comprendere questo mondo così variegato e dignitoso di cui purtroppo abbiamo una visione relativa e settaria.
Nessun commento:
Posta un commento