21 ottobre 2021

molto SQUID e poco GAME

Due squadre si affrontano in un gioco violento e senza esclusione di colpi. Chi vince, guadagna un mucchio di soldi; chi perde, muore, o comunque subisce danni fisici irreparabili.
Il pubblico è composto da ricchi annoiati, che non sanno come sperperare i propri soldi; e, quindi, scommettono su questo o quel giocatore, tanto per passare la giornata.
Nella scena finale, il protagonista si ribella, ma non si sa che fine farà. Titoli di coda e tutti a casa.
Non è di "Squid Game" che sto parlando, ma di "Rollerball", il primo; quello con James Caan.
Per carità, il vero riferimento di SG sarebbe il manga "Kamisama no Iu Toori", che racconta qualcosa di analogo, ma all'interno di una classe scolastica. E, dunque, a grandi linee, questo tema sembra ricorrente in forme diverse, a seconda della cultura che li esprime. 
Ma non è questo il nodo della questione. È che non capisco un certo approccio indulgente e pietistico intorno ai personaggi di SG.
Premetto che, al contrario di quanto scritto da qualcuno, non tutti i partecipanti a SG sono poveracci; in realtà, la costante sono i debiti: tutti i partecipanti a SG sono pieni di debiti. Come li abbiano contratti, non è chiarito, se non in quattro/cinque circostanze (tutt'altro che nitidamente da poveri, peraltro).
Per cui, di primo acchito, senza pensarci tanto, viene in mente di dire: «la promiscuità violenta di SG ve la siete cercata». Ma sarebbe un'affermazione frettolosa e infantile. 
In realtà, il punto è un altro.
Inizio con una premessa: per quanto sia assodato che la diffusione del debito privato sia un problema ormai endemico della società sudcoreana, non voglio mettermi lì a decidere arbitrariamente chi in SG abbia il "diritto" ad avere debiti e chi invece li avrebbe contratti per mero vizio.
In realtà, è la serie stessa che in almeno due momenti ci dice che la poraccitudine c'entra poco.
Primo momento - Nel primissimo episodio, un reclutatore azzimato fa leva sul vizio dello scommettere ad oltranza per adescare i partecipanti. Quindi, se proprio non se la vanno a cercare, poco ci manca. Caro indebitato, viene da dire, rinuncia a scommettere con il reclutatore e tornatene a casetta tua.
Secondo momento - Nel secondo episodio, complice anche la scelta dirimente del vecchietto, tutti i partecipanti (ma proprio tutti) potrebbero mollare tutto e non tornare più; senza soldi in tasca, ma vivi. E, invece, tornano a SG. Tutti. Sapendo quindi che o vincono o muoiono. Accettano volontariamente il rischio, insomma; come, del resto, sempre il vecchietto fa notare nell'ultima puntata.
A corollario di questo, dopo che hai deciso di tornare, sai che se partecipi al gioco accetti l'omicidio come unico modo per eliminare il tuo avversario; anzi, questo omicidio lo commette un altro al posto tuo, liberandoti la coscienza. Di fronte a questo, tanta indulgenza da parte degli spettatori televisivi mi sembra veramente inappropriata.
Direte che la povertà porta anche a questi estremi. Accidenti! Fino a far uccidere centinaia di persone al posto tuo (e, di fatto, per conto tuo)?
In tutto questo, anche la critica nostrana ha confermato i suoi soliti parametri, quando, cioè, si dimostra duttile e conciliante se i protagonisti di una storia rientrano in una visione populista; mentre si dimostra cinica e moralisticheggiante se, invece, i protagonisti sono netti e decisi. Ai primi, un errore è concesso; ai secondi, no.
E dato che in SG siamo di fronte a poveri-poverini, il critico sposta la sua attenzione verso la crudeltà del capitalismo, invece di concentrarsi verso chi questo capitalismo lo alimenta indebitandosi anche oltre le sue necessità (ricordiamolo: il protagonista sperpera tutti i soldi che raccatta in scommesse perdenti in partenza). 
Sul piano tecnico, se riteniamo SG una serie allegorica che fa leva su aspetti culturali così lontani da noi - a volte incomprensibili, tanto vale apprezzarne almeno la struttura: buona, ma spesso lenta e sopra i toni. Musica, scenografia e fotografia eccellenti, questo sì.
Una cosa è certa: l'allegoria di SG è trasversale - e quindi foriera di misinterpretazioni. Va vietata ai minori, o comunque dai 14 anni in giù: non può essere vista senza un minimo di mediazione di un adulto.

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