03 dicembre 2021

STRAPPARE LUNGO I BORDI che deve piacere per forza

Serie d'animazione a tecnica mista, in sei puntate da 14/20 minuti l'una, basata sui personaggi di Zerocalcare (al secolo Michele Rech).
Il protagonista viaggia dentro se stesso e le sue contraddizioni, con una trama godibile e spumeggiante, raramente noiosetta, per concludersi nell'imbuto di un lutto prematuro e doloroso
.

Ecco, fossi un critico di altri tempi, l'avrei riassunta così, perché è così che andrebbe raccontata. Sicuramente, la forma che ho scelto è desueta e antipatica, ma non lo è la sostanza.
Oltretutto, si è troppamente celebrata questa opera prima - con termini esagerati se non addirittura inappropriati, delegando all'autore meriti pedagogici, sociali e generazionali, che - ammettiamolo - lui ha fatto ben poco per schivarli. E un po' mi ha meravigliato, perché lo facevo almeno coerente, forse anche un po' maturo.
Certo è che troppa diffusa approvazione, spesso fotocopiata e sovrapponibile, ha sovraccaricato sia la reale qualità artistica che l'effettiva visione del prodotto. Insomma, siamo di fronte al solito ricatto sociale per cui una cosa ti deve piacere e basta.
Io sono partito svantaggiato, non solo perché non sopporto questo approccio stereotipato, ma perché non ho mai amato lo stile ostile di Zerocalcare. Per quanto non creda che esista un modo di fare fumetti, il suo è uno stile rancoroso, aggressivo e dai tratti scuri e oscuri, tanto che non sono mai riuscito a terminare i suoi albi, abbandonando dopo poco tempo l'acquisto delle sue nuove uscite.
Ammetto, però, che in questo caso "animato" l'ho trovato ammorbidito, forse perché supportato da un'eccellente grammatica cinematografica, forse perché le musiche e il montaggio hanno attenuato la altrimenti stucchevole pesantezza stilistica di Zerocalcare.
Se provassimo a seguire la trama con un po' di distacco, senza la pistola buonista che ti suggerisce come pensarla, l'elenco delle contraddizioni generazionali rappresentate è decisamente ingenuo e prevedibile: sfiducia, insicurezza, immaturità, ipocondria, misantropia, timidezza, presunzione, supponenza, attendismo.
Per carità, sono ben calibrate e credibili; oltretutto, funzionano anche come "vestito" dei vari personaggi. Ma tutta 'sta sfiga dopo un po' annoia. Alla fine diventa divertente vedere come verrà rappresentata piuttosto che apprezzare l'indubbio coraggio di ammetterla.
Veniamo al romanesco. Come romano - ma anche come amante del buon parlare, tutte quelle consonanti così pesanti e ammiccate sembrano una caricatura, e di quella antiromana. Voglio dire che Mastandrea (bravissimo!) parla romanesco, ma ha una fluidità stilistica e romantica che restituisce la bellezza di un dialetto oggettivamente fatto comunque di salumi e protervia. La romanità è anche salumi e protervia, ma Rech la forza, quasi fosse una sfida.
Onestamente, mi sfugge perché Zerocalcare sia sempre più amato - e quindi mi sfugge anche perché un'opera del genere stia trovando così tanta approvazione.
Spero solo che da parte della mia generazione, e di quelle intorno alla mia, sia solo una prova di temporanea nostalgia e niente più.
Le giovani generazioni, invece, non le conosco, e quindi non so come potrei capire i loro gusti. Certo è che da 55enne mi viene da augurarmi che escano in fretta da questi panni di autocompiaciuta viltà. 

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