21 luglio 2022

salutando Eugenio Scalfari

Quando frequentavo uno dei licei più rigorosi di Roma - frequentato da un certo tipo di borghesia non per forza estremista, di Repubblica compravo spesso due copie: la prima veniva inevitabilmente vandalizzata dagli altri alunni; la seconda la tenevo nascosta per portarla sana e salva a casa.
Quella Repubblica era profondamente diversa da quella attuale. Purtroppo la "mentalità internet" appiattisce le prospettive: il passato viene schiacciato dal presente, e ogni parabola sembra un punto, facendo perdere il senso dell'evoluzione o dell'involuzione di persone, eventi o anche oggetti.
Quella Repubblica era una bandiera, una militanza, un modo di pensare, una visione del futuro, un manifesto della tolleranza, un baluardo dell’antifascismo, un invito al rigore etico e morale che personalmente provo ancora a mantenere dentro di me, nonostante sia ormai cresciuto assediato dal tradimento e dal disincanto, nonostante quel quotidiano non esista più da tempo.
Se penso a un modo di salutare il primissimo Eugenio Scalfari, per come appariva e per come era per noi giovanissimi lettori, mi viene in mente un verso di Rainer Maria Rilke, immenso poeta del Novecento, da lui tanto amato:
«Le parole grandi, dei tempi in cui gli eventi erano ancora visibili, non sono più per noi.
Chi parla di vittorie?
Resistere, oggi, è tutto
»

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