08 ottobre 2025

L'ULTIMO DEI CHIURLI di Fred Bodsworth (Adelphi)

Intorno alla metà del Novecento il chiurlo eschi­mese è stato dichiarato estinto. Questo piccolo, in­classificabile libro racconta l’odissea di uno degli ultimi esemplari, che a ogni primavera, mosso dal­l’istinto, dall’Antartide fa rotta verso l’Artide per accoppiarsi - e per garantire la sopravvivenza del­la specie

Se dovessi azzardare un parallelo, questo libro è una sorta di "Gabbiano Jonathan Livingston" ma senza l'aura di esoterismo, di ascesi, di trascendente del testo di Bach. 

Proprio perché scritto con asciutto stile "adulto", riesce nel suo difficile intento di commuovere. Soprattutto, perché il lettore già sa che sta leggendo la storia di un animale estinto, di una "creatura" ormai scomparsa.

In più, accoglie le aspettative sia del "lettore Adelphi" che dell'appassionato di etologia, di ornitologia, di scienza. 

Un libro, insomma, che sa emozionare senza fronzolismi letterari, e che sa accompagnare il lettore dentro l'amara condizione di un Pianeta che stiamo trasformando in sola narrativa: fuori dai libri che parlano della Bellezza, ormai, c'è una realtà che fa paura. 

Si legge nello spazio di una giornata e resta appiccicato addosso per molti giorni. 

FANTASUONI di Lelio Camilleri (Arcana)

La cinematografia fantascientifica è un genere in cui, a causa delle sue caratteristiche, il suono acquisisce un’importanza fondamentale. Le tematiche narrative legate alla tecnologia, alla creazione di luoghi immaginari, alla presenza di oggetti, macchine e apparecchiature fantastiche fanno diventare il suono un elemento rilevante per la comprensione e la spettacolarizzazione di questo genere. Nel genere fantascientifico il suono diventa un elemento centrale le cui funzionalità possono articolarsi sia nella dimensione più specificamente musicale (musica costruita sul suono) sia in quella relativa al design sonoro. Riguardo quest’ultima dimensione, Fantasuoni analizza le funzionalità e le strategie relative alle differenti categorie sonore: i suoni ambientali, quelli degli oggetti e delle macchine, i suoni fisiologici. Nel libro vengono presi in esame i principali film di fantascienza, dagli anni Trenta in poi, in cui il suono gioca un ruolo fondamentale

Ho citato volutamente la presentazione ufficiale del libro per darvi un'idea dello stile dell'autore: cattedratico, circonvoluto, autoreferenziale.

Mi direte "sei scemo a scrivere una recensione negativa di un libro della casa editrice che ti ha pubblicato"? Può essere. 

Ma quello che conta è il contenuto, apparentemente ad uso universitario, comunque arido di curiosità e di afflato divulgativo. Che poi è un difetto tutto italiano. Come se scrivere col sorriso (o con l'apprensione) sia un delitto.

Mi viene da dire "peccato", ma soprattutto di suggerire all'autore di cambiare impostazione: l'idea è bellissima, il risultato meno.

DOVE SI INCONTRANO LE ACQUE di Dérens & Geslin (Keller Editore)

Un reportage attento ed erudito che ci porta dai cantieri navali croati dismessi ai bunker abbandonati dell’Albania, dai villaggi del Montenegro plasmati dalla Repubblica di Venezia ai palazzi dell’Abcasia divorati dalla vegetazione

Un libro denso, densissimo, pieno di storie e di Storie, dove il lettore si perde con voluttà dentro una narrazione fine e potente, che non disdegna l'approccio personale, spesso tutt'altro che giornalistico.

Ho ritrovato lo spirito dei tempi lunghi di Theo Angelopoulos, apparentemente statici, ma invece solenni, dove ogni molecola d'aria è essenziale al respiro del lettore. Non ci sono suoni, ma musiche tradizionali che cambiano ad ogni porto, ad ogni villaggio. Non ci sono rughe stereotipate, ma volti ricchi di esperienza. Non ci sono pasti veloci, ma cibo da condividere. 

Come recita il risvolto di copertina: una città senza cimitero, una lingua con ottantadue consonanti, un porto turistico che non esiste sulle mappe, vecchi sottomarini sovietici in vendita, confini che solo un cieco può attraversare, valli perdute e litorali riconquistati, giovani radicalizzati e vecchi credenti… Ai confini dell’Europa, dai Balcani al Caucaso, si estendono spazi indefiniti, schiacciati negli ingranaggi di un’interminabile “transizione”, ma ideali per incontri improbabili e unici.

Jean-Arnault Dérens e Laurent Geslin dimostrano che si può fare letteratura di viaggio partendo dal basso, dalle piccole cose, da quel tipo di narrazione lontanissima dalle matrioske inutili.

Un libro dolce e inesauribile, confezionato da una casa editrice che onestamente non conoscevo, che sa guarnire i propri gioielli con un'identità originale, una grafica che sa di nostalgia e un'attenzione per i particolari veramente pregevole.

IO SONO OZZY (Arcana)

Si legge in neanche un paio di giorni e la si dimentica quasi subito. Però, l’autobiografia di Ozzy Osbourne, il cantante metal per eccellenza recentemente scomparso, ha una caratteristica che la rende speciale: è onesta.

Non c’è autocompiacimento né assoluzione, neanche un condannarsi furbescamente per poi farsi perdonare dal lettore.

Ozzy racconta senza filtri le ennetante droghe e gli ennelitri di alcol che hanno costellato l’intera sua vita, facendogli raggiungere inimmaginabili vette di autodistruzione, di abbandoni, di disastri, che raramente potrete vedere così accumulati in una sola persona.

È come se Osbourne avesse scritto di getto, con il chiaro intento di non rileggersi, per non trovare una scappatoia narrativa che suscitasse empatia al lettore.

Ovviamente, non è il libro da leggere assolutamente, né tantomeno ha qualche pagina utile per chi volesse conoscere la Storia dei Black Sabbath o la Storia della Musica; però l’ho letto fino alla fine - sempre con partecipata curiosità - proprio perché sono evidenti e cristallini la sincerità, l’accettarsi nei propri abnormi errori, il rendere grazie a chi l’ha più volte salvato dal baratro, il darsi il giusto posto nel panorama musicale di quegli anni.

Se quando era appena morto, mi ero dispiaciuto come ascoltatore affezionato dei migliori Sabbath, dopo aver letto questa sua autobiografia sento di aver perso una persona cara; non dico un amico, ma almeno qualcuno che mi avrebbe potuto perlomeno fermare quando incorrevo in uno dei miei difetti più radicati

03 settembre 2025

ANORA, 'a noia

New York, Anora è una spogliarellista. Un bel giorno incontra il giovanissimo figlio di un oligarca russo, con cui consuma sesso a pagamento per qualche giorno. Finché lui le propone prima una gita di una settimana a Las Vegas; poi, addirittura di sposarla. Forse per calcolo, forse per amore, lei accetta, ma non ha tenuto conto dei di lui genitori, che rompono quel patto, riportando la ragazza indietro nel suo passato

Ho lasciato passare due mesi, sperando di cambiare idea.
Niente da fare, la penso sempre allo stesso modo: è un film brutto, pretestuoso, lento e piatto. E mi sono sforzato in mille modi per capire come mai abbia vinto così tanto e così tanto sia stato acclamato da pubblica e critica. Ma ancora non riesco a trovare il motivo. 

Qui non si tratta di gusti, ma di elementi oggettivi.
La trama è banale, dall'inizio alla fine.
Le recitazioni sono piatte e senza sfumature.
La regia, approssimativa.
La sceneggiatura si perde sempre più per strada, andando a raccattare rimedi narrativi che allunghino il brodo.
Il montaggio è dello stesso regista, quindi autocompiaciuto.
Direzione della fotografia, senza un filo conduttore.
La musica si salva, questo sì; ma è troppo poco.

Scommetto che tra qualche mese dimenticherete questo accrocchetto senza capo né coda.
Nel frattempo, un consiglio spassionato: se ancora non lo avete visto, passate oltre

LA MIA VITA di Friedrich Nietzsche (Adelphi)

Fin dalla prima giovinezza, Nietzsche cominciò a raccontarsi a sé stesso, quasi provando quello strumento che, all’apice della sua vita, avrebbe dato i prodigiosi accordi di Ecce homo

Non avendo pregiudizi nei confronti di Nietzsche, ho letto il primo libro di questo mirabile cofanettone: nonostante l'intento esplicitamente autobiografico, è già possibile incontrare pensieri, parole e opere del filosofo, veramente dense e interessanti. 
A latere, si percepisce subito quanto Nietzsche abbia influenzato il pensiero di Roberto Calasso, il papà di Adelphi cui ho dedicato una dozzina delle mie recensioni. Un conto è averlo letto nelle interviste del compianto editore, un conto è assaporarlo direttamente.
Sicuramente, questo La mia vita non è un'operazione onanistica o egocentrica, ma la leva ideale per entrare con una certa "naturalezza" nel pensiero di Nietzsche, senza doverlo interpretare, senza cioè arrovellarsi dentro gli aforismi dei suoi saggi. 
Uno specchio è la vita
Riconoscer sé stessi
In questo specchio riflessi
È la cosa più ambita
Tralasciando la breve parte dedicata alla sua infanzia, ho trovato illuminante il lungo raccontare il percorso di studi che lo porterà a diventare un accademico stimato e apprezzato.
Spaventa e sgomenta quanto le generazioni come la sua - a un'età in cui il cervello maschile generalmente vaga senza meta - abbiano studiato e assorbito saggi e lezioni con una profondità e intensità che le nostre al massimo potrebbero abbozzare giusto all'università.
Certo, c'è anche un influsso caratteriale (Fin da bambino, io cercavo la solitudine, e mi trovavo meglio là dove potevo abbandonarmi indisturbato a me stesso), ma i programmi scolastici erano quelli; non ci sta niente da fare.
Tra le tante descrizioni e narrazioni, risalta la passione di Nietzsche per la musica: Dio ci ha dato la musica in primo luogo per indirizzarci verso l'alto. La musica raduna in sé tutte le virtù: sa essere nobile e scherzosa, sa rallegrarci e ammansire l'animo più rozzo, con la dolcezza delle sue note melanconiche [...] La musica rallegra scaccia i pensieri tristi [...] Con le sue note, l'arte musicale è spesso più eloquente della poesia con le parole.
L'ottica religiosa di Nietzsche sopra accennata, è costante: Ho vissuto ormai tante esperienze, liete e tristi, che mi hanno rasserenato e afflitto, ma in ogni cosa Iddio mi ha guidato sicuro [...] Ho preso nel mio intimo la salda decisione di dedicarmi per sempre al suo servizio.
Questo esser sempre così rigorosi si riscontra persino quando descrive la fine delle vacanze, con questi versi:
Svanir deve la vita
E la rosa appassire
Se vuoi vederla un dì
Gioiosa rifiorire
Versi che mi hanno ricordato la lapide che Rilke scriverà per sé stesso: Rosa / pura contraddizione / La gioia di essere sonno di nessuno / sotto tante palpebre.
Prendendo come spunto proprio le vacanze, ecco un pensiero rivolto ai più giovani: Giovane, usa bene il tempo delle tue vacanze, non studiando, bensì in giubilante riposo, cosicché, quando la tempesta si avvicina e la rombante voce del tuono annuncia la fine del tempo delle rose, tu parta di buon animo - ma zitto! Non sono uno che veda fuggir la primavera senza piangere, e stento a comprendere come si possa tornare volentieri a imprigionarsi nei propri ceppi. Ma ormai la mia massima è: goditi la vita così come ti si offre, e non pensare alle fatiche future.
C'è, poi, un passaggio che mi ha colpito più di tutti gli altri, perché rende nobile e strutturato un pensiero che ho scritto in questo libro, ma senza la stessa accuratezza. Nietzsche è convinto che non esista l'inedito, il non creato: I concetti astratti sono da considerarsi i creatori di ogni essere? No, al di là della materia, dello spazio, del tempo, si ergono le fonti originarie della vita, che debbono essere più alti e spirituali, la capacità vitale dev'essere infinita, la forza creatrice illimitata.
Generalmente, suggerisco se leggere o no certi libri: in questo caso, il testo in sé mi ha appassionato molto, ma non saprei dirvi se sia "obbligatorio" farlo. Sicuramente, di Nietzsche vanno letti ben altri testi. Tanto, entro il 2026 avrò sicuramente finito il cofanettone. Seguitemi: ne riparliamo.

LIVE AID (Arcana)

Il Live Aid è stato un concerto musicale svoltosi il 13 luglio 1985 al Wembley Stadium di Londra e al John Fitzgerald Kennedy Stadium di Philadelphia.
È stato il più grande collegamento satellitare e la più grande trasmissione su televisione di tutti i tempi: si stima infatti che quasi due miliardi di telespettatori in centocinquanta nazioni diverse abbiano assistito al concerto in diretta.
Il Live Aid è stato organizzato da Bob Geldof e Midge Ure allo scopo di ricavare fondi per alleviare la carestia che aveva colpito l'Etiopia in quegli anni

Io c'ero, e lo vidi fino alla fine. La RAI lo trasmise integralmente ma a pene di cane: una sorta di prima parte, in televisione; la seconda parte, alla radio; la terza e ultima parte, di nuovo in televisione, fino a notte tarda. Poi, il giorno dopo, propose in televisione quella parte che era andata solo alla radio.
Il vero problema furono i commentatori italici: sbrodoloni e chiacchieroni fin troppo.
Il libro di Arcana rende merito e omaggio a quell'impresa, riuscendo a coniugare dati statistici, elementi storici, aneddotica, dietro le quinte, scalette, analisi di tutte le performance (con tanto di minutaggio e orario), biografie dei protagonisti (aggiornate fino a oggi).
Un lavoro difficile e complesso, ma perfettamente riuscito.
Il suo unico apparente difetto è che potrebbe sembrare un'operazione nostalgia, mentre invece sono convinto che meriti una profonda lettura anche da parte delle nuove generazioni: quando storciamo il naso di fronte ai "vostri" cantanti non è solo per incomprensione tra generazioni (che poi nella musica non sussiste), ma perché anche quando i "nostri" erano commerciali, non usavano l'autotune, le basi preregistrate e sapevano sdrumare l'universo con la qualità.

EMILIA PÉREZ, una breve recensione

Un supertrafficante si affida a un'avvocatessa per cambiare genere in gran segreto e senza che i delinquenti avversari lo vengano a sapere. L'operazione avrà successo, almeno finché il passato dell'ex cattivo gli si rivolterà contro
.

In questo nuovo modo di fare cinema, può non avere senso recensire pellicole ormai cadute nel dimenticatoio come questo Emilia Pérez (2024), se non fosse per un elemento che caratterizza questo piccolo film, delizioso quanto prevedibile: la colonna sonora, ricca di interventi canori, sempre giusti e puntuali, con coreografie moderne e mai stucchevoli. Veramente divertente. 
Di fatto, è un quasi musical, il cui difetto più evidente è il suo essere un po' troppo allungato - soprattutto nella seconda parte - per mere policy commerciali (le piattaforme di streaming hanno bisogno di prodotti che superino le due ore).
Certo è che buona parte delle canzoni funziona anche fuori contesto. Niente di particolare, ma comunque frizzanti o drammatiche in giusta misura.
Sorprendente Zoe Saldana. Bravissima Karla Sofía Gascón. Ottime le coreografie. Buono il montaggio. Regia di mestiere, ma molto attenta ai dettagli. Direzione della fotografia che cala nel finale (le scene al buio sono confuse e senza dominante).
Se l'avete perso, dàtegli più di un'occhiata

25 giugno 2025

FURORE di John Steinbeck (Bompiani)

Immaginate una sfera di acciaio, di quelle non per forza enormi, ma che incutono comunque rispetto, meraviglia, quasi timore. Forse è leggermente arrugginita, ma poco conta, perché sembra avere una dignità propria.

Immaginatela in movimento, tipo quei cosi che servono per buttar giù i palazzi: ondeggia senza sosta, avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro. 

Poi, ad un certo punto, senza preavviso alcuno, la sfera si sgancia e descrive una parabola quasi dritta, forse un rettilineo leggermente curvo… e si va a schiantare contro una nave di legno, appoggiata lì, da qualche parte... per poi rotolare giù, a fondo valle.

La nave, fragile già di suo, si è sbriciolata in mille pezzi. È impossibile ricostruirla; anzi, è addirittura impossibile capire che forma potesse avere. Sono rimasti mucchi di legno, sparpagliati alla rinfusa, un po’ di schegge, molta segatura, qualche pezzo sopravvissuto chissà come.

Questo è “Furore” di John Steinbeckuscito nel 1939, anche sa da noi la traduzione integrale è arrivata solo nel 2013 (quelle precedenti, infatti, erano mortificate dalle censure del Ventennio Fascista).

Tre generazioni, un camion, la fuga dalla Depressione, il viaggio verso le illusioni della California, un mito che poi si scioglie al sole dell’amara realtà, un finale che non dà spazio né alla speranza né alla delusione.

Una trama devastante, imponente, credibile, senza fronzoli, senza finzioni. Uno stile asciutto ma non arido, empatico ma senza pietismi, partecipato ma senza parteggiare. Una traduzione fedele, precisa, attenta e capace di rispettare totalmente l’anima di Steinbeck. 

Se vi manca questo classico, mollate tutto e andate ad acquistarlo.

Subito!

08 maggio 2025

il sacrificio secondo QUIET PLACE

 

A Quiet Place è un franchise solo cinematografico che resiste alle insidie dell’ovvio, con tre film di qualità intorno all’invasione di alieni brutti e feroci e invincibili (sono allergici solo all’acqua), capaci di percepire ogni possibile suono/rumore e di fare a pezzi chi lo fa: il primo (il più bello) ha una tensione e un tessuto narrativo molto potenti, con recitazioni e regia di livello; il secondo è un sequel più d’avventura, che per fortuna non ricalca gli schemi del primo.

Il terzo è un prequel, lo dichiara anche il titolo: Quiet Place - Giorno Uno (anche in inglese). I protagonisti sono solo due: una lei, malata terminale di cancro, interpretata da un’ottima attrice che sa alternare film profondi con altri di evasione; un lui, educatissimo studente di legge, interpretato dal ragazzo che veste le panni dell’outsider in Stranger Things (lo ricordate perché si riscatta morendo per la causa).

Subito dopo che gli alieni cattivissimi hanno spappolato Manhattan e sbudellato migliaia di umani (dalle urla che fanno, non dev’essere una morte piacevole), i due ormai fuggitivi si incontrano per caso, complice un dolcissimo gatto randagio.

Con poche e azzeccate pennellate di sceneggiatura, tra i due nasce una casta amicizia, forse romantica, forse occasionale, che commuove e rende partecipe il pubblico, anche le mogli che avete forzato a vedere il film.

Dopo una serie di peripezie, i due intravedono i barconi che stanno portando in salvo gli umani superstiti. Ma la distanza fino al porto è minata dalla presenza degli alieni. E qui accade qualcosa che spariglia le carte: lei si sposta lontano da lui, e per farsi notare percuote alcune automobili facendo scattare gli allarmi. Gli alieni si buttano a capofitto verso la fonte di quei suoni, lasciando libero il passo verso la salvezza. Lui è titubante perché ha capito che lei morirà sicuramente; poi, per non rendere vano quel sacrificio, corre come un forsennato e si butta in acqua, nuotando disperatamente verso le barche dei marines… col gatto in braccio, tranquilli.

Perché lei si è sacrificata? Il cancro le ha lasciato pochi mesi di vita, lo sappiamo: visto che comunque sarebbe morta, ha preferito farsi sbudellare per salvare una persona, un perfetto sconosciuto. In condizioni analoghe, lo avrei fatto? Lo avreste fatto?

29 aprile 2025

dopo ADOLESCENCE

Desgarremos la vida / que pasa palpitando

y levantemos juntos / nuestro vuelo salvaje

Questi straordinari versi di Pablo Neruda descrivono esattamente cosa penso della gioventù; in assoluto, intendo, senza ragionare su alcun contesto. E per quanto sia una visione romantica e impossibile, mi piacerebbe sia considerata ancora condivisibile da chi giovane è stato e da chi giovane sarà.
L’essere giovani dura un attimo. È la tappa più breve della vita, perché va vissuta (viene vissuta) con slancio e incoscienza e voglia di divorare tutto, a volte senza gustarlo. Essere giovani è abbagliare il mondo, quasi bruciarlo, ma anche apprezzarlo meglio dei “grandi”, proteggerlo, difenderlo, farne parte sin dentro la profondità della sua carne.
Io ho sempre davanti agli occhi quel bellissimo correre sulla spiaggia di Antoine Doinel, con lo sguardo spaventato, stupefatto, incredulo, curioso, forse anche felice: c’è l’essenza delle battaglie interiori di un giovane, quelle che non riescono a spiegare e a comunicare neanche a loro stessi.
Dagli anni ‘50, le generazioni dei padri giudicano quelle dei figli perseguendo due preconcetti limitanti e opposti: il primo è essere indulgenti qualsiasi impreparazione dimostrino; il secondo è schiacciarli dentro questa impreparazione.
Ora, io non vorrei scomodare geni assoluti come Mozart e Bach, che, giovanissimi, avevano già composto opere assolute; però è dimostrato e dimostrabile che tra i 20 e i 30 anni si è al massimo delle capacità cognitive e creative. Il modello scolastico e quello sociale dovrebbero aiutare la famiglia a enfatizzare questa irruenza, anche accompagnando poi i giovani dentro il rigore e gli obblighi del crescere, del maturare, del sapersi comportare nel vivere sociale (senza privarsi dell’io, per carità).
Ho appena finito di vedere Adolescence (2025), e ancora non riesco a trovare in me le domande che vorrei fare.

17 aprile 2025

LA ZONA D'INTERESSE, una recensione

Credo sia difficile saper raccontare un incubo: tante e tali sono le sue parti non visibili, che invece sono le più potenti, le più crudeli, quelle che ti svegliano con il sudore dell'anima appiccicato addosso e un corpo invece freddo ed esausto, con le tempie che sembrano scoppiare.
Certi incubi, se li racconti con le semplici parole, sembrano così surreali da non suscitare nulla nel tuo interlocutore, se non un'incredulità di facciata, quasi cortese. Anzi: se provi a dire che sono realmente accaduti, vieni guardato con occhio triglioso, scettico, compassionevole.
Ecco, La zona d'interesse (2023) è il dietro le quinte di un incubo di questo tipo, perché racconta la microquotidianità di una famiglia di nazisti, quella di Rudolf Höss, primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz. La Shoah non la vedi, sembra uno sfondo scenografico cui potresti abituarti. 
Con il lento incedere della proiezione, il fiato si spegne sempre più, perché vorresti dire ai protagonisti di guardarsi intorno, di misurare quello scempio, di non portare anche i figli dentro la grotta del male.
È un film che forse ha nel suo punto di partenza la sua piccola e unica debolezza, perché dà per scontato che lo spettatore conosca quell'abominio, quella storia; mentre, invece, gli eventi di questo ultimo lustro ci stanno dicendo che ricordare la Shoah è una prova di forza contro l'indolenza degli anni che passano, che trasformano tutto in poche righe di riassunto sui sussidiari dei liceali, sempre che qualcuno abbia voglia di insegnare o di leggere queste righe.  
Bastava una leggera premessa, un avviso, un qualcosa che avviasse lo spettatore dentro al contesto. Altrimenti il cinismo dei personaggi diventa inverosimile (proprio perché sembra un incubo) e la realtà realmente accaduta appare quasi cinematografica (proprio perché incredibile). 
Comunque, ne imporrei la visione a tutte le scolaresche, magari con una legge comunitaria, perché è un film che fa più male di quanto si creda, che sa raggiungere anche le menti duttili o vacue o egocentriche, come sono (e devono essere) quelle dei giovani.
Superba la scelta musicale e dei suoni (un vero e proprio attore fuori campo), entrambi di rara pertinenza. 
Ottima la direzione fotografica. A latere: le scene all'aperto sono state girate con più telecamere contemporaneamente, opportunamente nascoste nella scenografia, per consentire agli attori di costruire genuinamente i propri sentimenti, senza dover pensare al freddo recitare.
Spaventoso il finale, tra i più potenti mai dedicati alla banalità del Male.

09 aprile 2025

SUL VIDEO FAKE DI ALESSANDRO BARBERO / LUCA BOTTURA

Qualche giorno fa, il fine umorista Luca Bottura (non sono ironico) ha postato su Twitter/X un fake video di quattro minuti in cui lo storico Alessandro Barbero professa dichiarazioni verosimili, ma totalmente inventate. Solo alla fine dei quattro minuti viene chiarito l’inganno. Uno scherzo, insomma. Satira, insomma.

A questo, ha risposto sulla stessa piattaforma il direttore de Le Scienze, Marco Cattaneo, chiedendo prudenza: bastava avvisare in apertura di video e non in chiusura, oppure mantenere costante un avviso in sovrimpressione semitrasparente, visto che nessuno ha la pazienza di sorbirsi quattro minuti di video e quindi sapere che è un fake.

Dopo un cortese botta-e-risposta, Bottura ha scritto un pippone generico in cui si rifugia dietro tutti i suoi piùcchesacrosanti diritti, dimenticando però che esistono anche dei doveri, gli stessi che lui pretende dagli altri, quando agita il ditino da professorino casto e puro.

Appunto acido: direttamente, i due si sono trattati con le molle (sono colleghi e soprattutto ex vicini di stanza); quando, però, si sono rivolti al popolo, hanno usato ben altri toni.

Torniamo a noi. C’è un elemento che i due hanno dimenticato: quel video resta e resterà. Non basta allisciare i propri follower scrivendo che il “pubblico intelligente” capisce o ha capito l’operazione di Bottura o la replica di Cattaneo (a seconda delle fazioni); innanzitutto, perché anche il più intelligente a volte scrolla pigramente senza approfondire; ma, soprattutto, perché il video resterà online in quell’“eterno mentre” che è internet

In futuro, chi si imbatterà in quel video composto in quel modo, che sia tra un mese o tra trent’anni, non avrà gli strumenti, o il tempo, o la voglia, per capire che era un fake. Ma è così difficile da capire?

Quando entriamo in rete, dobbiamo sempre ricordarci che non esiste un prima o un dopo quello che poi faremo, ma solo quello che facciamo, avulso, indipendente, eterno, senza contorni o chiarimenti o approfondimenti o spiegazioni o contesti. Quella cosa fatta verrà compresa così com’è e rappresenterà quello che sembrerà in quel momento; una rappresentazione che il giorno dopo potrà essere opposta.

Aggiungo due corollari un po’ provincialotti: il primo, la calunnia è un venticello e quel video “sembra” qualcosa che non è, ma che basta a generare anche pettegolezzi e dicerie. Il secondo corollario, sono i commenti sotto i tre tweet coinvolti: la quantità di affermazioni benealtriste o lassiste o menefreghiste, fa paura. E, paradossalmente, dimostra l’assunto di partenza: questo modo di usare la tecnologia fa solo e solamente male