13 febbraio 2010

oDino, Dino Zoff

La quartaquasiquinta puntata del mio raccontare i calciatori doveva inevitabilmente arrivare a Dino Zoff, inimitabile e insuperabile sportivo, simbolo di un modo raro di interpretare la vita e il calcio, indiscusso protagonista della Juventus e della Nazionale migliori (sia come giocatore che come allenatore).
Lo incontrai tre anni fa in Prati, qui a Roma. In realtà non volevo assolutamente disturbarlo, ma una cara amica di mia moglie voleva regalare un suo autografo al figlio... e mandò in avanscoperta il sottoscritto.
Incredibile: è un uomo alto - si sa, con un carattere fiero che lo rende ancor più imponente; eppure, paradossalmente, la sua civiltà e la sua umanità quasi lo ridimensionano. È come se il dio del pallone per manifestarsi a noi miseri mortali avesse scelto la dissimulazione, la compostezza, la misura.
Stringendomi la mano si è portato via metà della mia colonna vertebrale. Gli ho ricordato un suo "libbbricino" intitolato Dino Zoff racconta, che qualche trasloco m'ha portato via, e lui giustamente e umilmente fece notare che non era nulla.
Ha abbozzato un'impercettibile gratificazione (forse più rimbalzata dalla mimica facciale della signora che lo accompagnava) quando gli ho detto che per me è sempre stato un esempio, quasi un padre spirituale, e anche uno sportivo di quelli che dovremmo coccolare a vita, e raccontare ai giovani, e ai futuri nipoti dei giovani.
Dino Zoff ha vinto tutto, o quasi: in fondo è meglio per la sua storia che non abbia mai impugnato la Coppa dei Campioni dell'Heysel: quell'ottone insanguinato avrebbe macchiato la sua natura così limpida.



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