Per un breve periodo ho indugiato nei giochi sparatutto, perdendomi nei meandri delle prime due versioni di Doom, e, non avendo ancora un computer mio, mi affidavo a quello stracraccato di un mio amico. Così craccato di tutto e di più che di certi giochi non c'era l'audio; il che significava doversi immaginare i versi mostruosi dei mostri mostruosi, ma soprattutto rischiare di prendere sberle inattese, perché l'audio invece serviva anche a segnalarti una mefitica presenza nelle vicinanze.
Quello che mi divertiva un mondo era fare capoccella, dare cioè un'occhiata fugace e veloce agli angoli bui degli ambienti per cercare di evitare chissà quale minacce. Spesso le prendevo comunque, ma ogni tanto mi consentiva di cavarmela, e allora fissavo fugacemente i mostri, così fugacemente che spesso era più quell'immagine a regalarmi sogni terribili ma divertenti che tutto il gioco in sé.
L'idea cioè di un'ombra dietro al muro, di una minaccia vicina ma non visibile, contro cui non sai ancora come reagire e comportarti ma che ti tiene in altissima tensione, questo tipo di situazione in sospeso, insomma, mi ha sempre affascinato.
Anche i film più seri - tipo Gruppo di famiglia in un interno - sono ricchi di suggestioni simili. Il non palese, il dissimulato, l'accennato, l'ignoto che c'è ma che non sai quando si paleserà... tutti elementi che ritornano in numerose esperienze letterarie, cinematografiche, pittoriche, addirittura musicali.
E quindi il titolo del mio nuovo romanzo nasce proprio dall'esigenza di costringere il lettore a sentirsi sempre suscettibile, avvolto da un qualcosa di cui ancora non sa dare forma, valore e significato.
Come tutte le cose che mi piacciono (intendiamoci, quel poco che riesce a difendersi dal mio essere eterno insoddisfatto), questo titolo mi ha accompagnato per quasi tutta la stesura del romanzo. Non ricordo se sia nato insieme allo scritto, ma diciamo che appena ho iniziato a scrivere, era l'unico titolo possibile.
Nessun commento:
Posta un commento