Come disse una volta il mio padre spirituale Werner Herzog (cito a memoria), i film dell'orrore sono il cinema migliore, perché portano con loro spontanee potenzialità espressive, avvolti come sono nel mondo dell'immaginazione e dell'onirico.
Uno dei più grandi sperimentatori del genere è sempre stato George A. Romero, che, mantenendo costante il parametro dell'invasione dei morti viventi (come accade con la musica di Philip Glass), ha costruito storie che a volte leggevano il presente, ma spesso presagivano l'amaro futuro. Se l'Italia fosse un paese meno bigotto e chiuso, i suoi film sarebbero proiettati nelle scuole e nelle università specializzate.
Certo è che mentre il suo recente Diary Of The Dead mi aveva folgorato, questo Survival Of The Dead si è perso qualcosa per strada, e in maniera anche sciatta, quasi distratta. Come se Romero abbia scientemente voluto inciampare su uno script che invece in nuce era veramente interessante.
Gli elementi per costruire qualcosa di epico ci sono tutti: il conflitto generazionale tra padre e figlia, il confronto intergenerazionale tra due sorelle gemelle, lo scontro tra due grandi famiglie patriarcali, la vittoria - amarissima - della mentalità militare a discapito di quella "civile", il colpo di scena finale (che quasi passa inosservato).
Partito benissimo, il film - quasi uno spin off del precedente - si perde subito per strada puntando alla rinfusa sulla reiterazione delle classiche costanti del regista.
In più, se in generale, una volta accettato il principio di partenza, le sceneggiature di Romero si autoponevano delle regole da rispettare (per quanto assurde, sempre regole erano), qui ci sta una serie di errori inutili che disorienta anche lo spettatore più distratto.
Che dire? Da tempo si vocifera di una sorta di capitolo finale in cui alcuni astronauti dentro uno shuttle sono gli ultimi "normali" rimasti, mentre sulla Terra hanno ormai vinto gli zombi. Un'idea che potrebbe risultare vincente se accompagnata da un testo forte e innovativo. Speriamo bene...
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