E già: come si fa giornalismo d'inchiesta?
Ce lo dice lo stesso Michael Keaton quando presenta il suo staff al neo direttore Liev Schreiber: certe inchieste potrebbero durare anche un anno! Capito? Un anno!
E perché mai qui da noi sarebbe impossibile?
Per un mucchio di motivi (lettori faciloni esclusi, ovviamente): 1) il gruppo dev'essere affiatato e collaborativo; 2) bisogna approfondire, e poi fermarsi per ragionare, e poi di nuovo approfondire, e poi di nuovo fermarsi per ragionare; 3) non bisogna mai dare le cose per scontate; 4) bisogna andare oltre le conventicole, le amicizie, le conoscenze; 5) non bisogna temere il pubblico, ma rispettarlo; 6) non bisogna adulare il pubblico, ma accompagnarlo; 7) bisogna riconoscere i propri limiti e sfidarli; 8) bisogna ricordarsi dei propri errori; 9) bisogna rispettare sempre le gerarchie; 10) sconfitte e successi sono colpa o merito di tutti.
Ma soprattutto c'è un elemento che non va mai dimenticato, e che va al di là delle cose pratiche, ed è un elemento etico e non scritto: il patto con il lettore. Se tu sei un professionista serio, io come lettore mi fido di te anche quando non sono assimilabile all'orientamento ideologico della tua testata.
Il patto col lettore è più di una regola kantiana: è la chiave per comprendere la cultura del giornalismo anglosassone che è alla radice anche di Spotlight.
Ebbene, io non voglio chiedervi se i giornalisti italici siano dei buoni investigatori, perché la risposta già la sappiamo; ed è uno sconfortante "NO"! Del resto, pigri e svogliati come sono, preferiscono l'opinioncina-finta-indipendente-ma-superlecchina o il guadagnare aggregando notizie altrui spacciandole per spiegoni.
Io mi chiedo, e vi chiedo, ma tutti quei buffoni che "spiegano bene" il film o lo prendono come archetipo del proprio ideale di giornalismo - che però sono i primi a non praticare - e lo brandiscono contro i propri colleghi - dove comunque il più pulito ha la gogna... dicevo, questi buffoni, che razza di patto hanno fatto con i propri lettori?
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