23 marzo 2020

Coronavirus, ognuno muore solo

Ho sognato le urla dei morti.
Le ho sentite come un alito di gelo che entrava furtivamente sotto la coperta, alla ricerca del mio senso di colpa (che purtroppo non ho). Ma loro lo stavano cercando. E credo che lo stiano cercando in tutti noi.

È forse su questo che si basa la solidarietà umana: ognuno muore solo, diceva Hans Fallada; e non sia mai, aggiungo io, che quell'ognuno sia uno di noi, adesso, in questi giorni. E allora il senso di colpa ci fa sentire questi morti, che trasformiamo in numeri, che recitiamo a pappagallo dopo averli sentiti al telegiornale.
Non ho una verità assoluta sulle cronache di questi giorni: è facile incontrare tweet o post che denunciano trasgressioni, quanto è facile leggere apprezzamenti positivi sulla correttezza dei romani.
Però la costante dell'ansia e della paura sta diventando quasi stucchevole, quasi un ruolo da mantenere, quasi doverosa. Anzi, se non palesi sentimenti di resa, nessuno ti crede.
E però io sono quasi convinto, se non del tutto, che un certo periodo del dopo, tutto sarà di nuovo come prima e non avremo imparato nulla.
Ecco, anche qui: che cazzo si può imparare da una quarantena? Possiamo fare bilanci? Certo, dovremmo! Ma allora perché non li facciamo sempre, che ne so... ogni primo giovedì del mese?
Ecco quindi che ritorna il suono dei morti, quel freddo che nella notte tra sabato e domenica mi ha svegliato di soprassalto.
Stiamo girando in tondo come criceti nella ruota.
Ascoltiamo musica dai balconi nell'ora esatta in cui accade la conta dei morti.
Facciamo inutili file per comprare solo tre panetti di burro che mai avremmo acquistato nell'arco di tutto un anno.
Aspettiamo al varco il podista di turno per additarlo come untore.
Affolliamo il web di frasi fatte e di ironie a basso costo.
Ma non riusciamo a fare pace con questa idea di morte, con i nostri morti.
Forse perché non li abbiamo salutati a dovere?
Forse perché non possiamo celebrare un funerale?
Oppure perché temiamo di fare la stessa oscura fine? Statistiche, numeri, musica dal balconi, cenere, nessun funerale... non è un bel modo per essere ricordati.
Io non so perché ho sentito questo gelo, ma so che erano i morti di questi giorni.
Oppure erano i morti di ogni giorno, quelli che adesso abbiamo relegato a un ulteriore gradino più in basso della nostra attenzione. Non lo so il vero motivo: ma so che quel gelo mi è rimasto dentro. Forse perché non l'ho saputo ascoltare.

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