06 marzo 2020

quel DONO OSCURO che ci lascia attoniti

Onestamente, non saprei da dove cominciare per riuscire a restituirvi cosa è stata per me la lettura di questo piccolo, delicato e doloroso diario, racconto, romanzo... 
Ecco, non so nemmeno come definire questo resoconto sulla cecità di John M. Hull, Professore Emerito di Religione all'Università di Birmingham, morto del 2015, ma ben vivo nella Memoria, grazie a questo splendido gioiello che solo Adelphi poteva avere il coraggio di pubblicare - e con un titolo leggermente diverso da quello originale (che, infatti, recita un quasi asettico Notes on Blindness) senza tradirne il senso.
Si resta sospesi come sospesa ti lascia la copertina del libro. 
Una sospensione che teme qualsiasi luogo comunque, che cerca l'assoluto, che vorrebbe uscire da quest'incubo, che non vorrebbe neanche viverlo né tantomeno sperimentarlo, che sente l'inutilità dell'empatia, delle lacrime, del languore, ma che non può fare a meno di sentirsi empatico.
E già, diventa quasi inutile "stare accanto" al protagonista, perché la sua solitudine è il suo viaggio, e solo lui può viaggiare nella solitudine, perché la cecità lo ha lasciato solo.
Il padre che non può vedere i propri figli.
Il marito che non può vedere la propria donna.
il maschio che non sente più l'erotismo perché il sesso deve anche vedere, ma se sei diventato cieco il sesso diventa qualcos'altro.
Lo studioso che, anziché continuare i suoi studi, deve prima imparare un nuovo modo di studiare.
Si respira una dignità granitica in questo libro, perché anche il senso di tristezza dentro le pareti della cecità, viene comunque raccontato in maniera trasparente, onesta, senza "far finta di".
Ci sono anche momenti di serenità, addirittura di riscatto, persino di speranza; ma alla fine l'autore si rassegna senza annientarsi, però: è diventato cieco, e come tale deve comportarsi.
Da non perdere i momenti passati con il figlio più piccolo: ti aspetti che il padre menta, che isoli il bimbo dalla dura realtà della cecità; e, invece, gliene parla, dimostrandogli limiti e impossibilità.
Il Dono oscuro non è un libro triste, come usano dire in molti: è un racconto di un vedente diventato cieco. Verrebbe da dire che la tristezza potrebbe semmai stare negli occhi di chi lo legge.

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