28 aprile 2020

Coronavirus, calzinaroli

Una dozzina di anni fa, qui a Testaccio mi si avvicina un venditore di calzini e mi chiede qualche soldo. Mentre frugo tra i miei spicci, mi sta appiccicato in maniera petulante; roba che se fossi stato leggermente nervoso gli avrei assestato una capocciata sullo sfenoide. 
Appiccica che ti appiccica, mi scanso sensibilmente e gli dico: se tu vuoi che le persone ti diano dei soldi, devi chiederli una sola volta - e poi stare distante; se ti avvicini, crederanno che li vuoi derubare. Questo è un Rione piccolo: ci vuole poco per farti evitare da tutti.
Lui mi guardò sorridente, si spostò di un metro abbondante e mi porse la mano. Si beccò tutto il contenuto del mio zoccolo portaspicci. 
Qualche giorno dopo, transitando dalla sede Rai di via Teulada a quella di viale Mazzini, mi sento apostrofare con un "Generale!". Considerato che ero pressoché solo lungo tutto il marciapiede, mi giro di scatto e me lo ritrovo davanti. A un metro abbondante di distanza, sorrisone stampato sul faccione e mano tesa. E però non poteva sapere che quando passo da una sede all'altra, porto con me solo il tesserino e lo smartphone; gli spicci rovinano le giacche, si sa.
Gli spiegai il mio rituale, sorrise e si girò dall'altra parte.
La mattina seguente, TAC!, me lo ritrovo di nuovo a Testaccio, mano tesa e sorrisone stampato. "Stavolta non mi freghi", avrà pensato; e, infatti, gli ho dovuto dare qualche spiccio.
Quando poi, verso l'ora di pranzo, me lo sono ritrovato sotto l'ufficio, non mi ha chiesto nulla: aveva immediatamente imparato che qui i soldi li becca, lì invece si attacca.
Si chiama Stephan; non so neanche se sia il suo vero nome. È senegalese, ma potrebbe anche essere ivoriano o del Congo. Ha una faccia da schiaffi come pochi, tanto che ha cominciato a insegnare agli altri suoi compagni di elemosina come ci si avvicina alle persone: "fai come mi ha detto il Generale e ti danno soldi". Io da grande volevo insegnare: in qualche modo, ho raggiunto il mio sogno.
E sono anni, ormai, che me lo ritrovo ovunque vada, come un'ombra gentile. Addirittura, quando sono a lavoro e mi incrocia insieme ad altre persone, mi saluta col bro fist, come fossimo due fratelli che hanno appena segnato il canestro della vita. Per lui sono sempre "Generale!", con quella leggera chiusura in salita sull'ultima E, per sottolineare un po' alla romana che mi sta riconoscendo per un ruolo di prestigio.
Lo so, lo so, chiamerà tutti così, ma a me piace pensare che siamo fratelli di uno spazio tutto nostro, un triangolo dell'immaginazione che va da Testaccio a Teulada, e da Teulada a Mazzini.
Silvia ed io li chiamiamo "calzinaroli": del resto hanno sempre dei calzini con loro, sempre gli stessi; mai che ne avessero venduto un paio. Però fanno parte dell'ecosistema di Testaccio: non passa weekend che non li incontriamo tutti e cinque, tanto che ormai in casa teniamo una sorta di fondo per loro, che poi doniamo in egual misura il sabato mattina.
Oltre a Stephan, c'è quello davanti a Linari ("Ciao, fratello!"), quello petulante ("Ciao signore"), quello vicino al garage ("Amiciii!") e lo spilungone di fronte al negozio dove trovate tutto. Oddio, quest'ultimo ha avuto problemi psicologici seri, serissimi; non riesco neanche ad immaginare quali soprusi abbia subito (o stia subendo).
So perfettamente che in molti sono contrari alle elemosina: da destra, per razzismo contro di "loro"; da sinistra, per razzismo contro quelli come me o mia moglie.
Onestamente, non mi interessa chiarirmi con nessuna delle due fazioni. Quello che mi preoccupa, semmai, è sapere come diamine vivano adesso, come riescano a mangiare, a spedire i soldi a casa; eventualmente, come facciano a curarsi, se vogliamo dirla tutta.

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