17 giugno 2020

DA 5 BLOODS - COME FRATELLI di Spike Lee

Quattro veterani afroamericani tornano in Vietnam alla ricerca di un tesoro perduto e della salma del loro caposquadra.
Mi fermo qui, non solo per evitare spoiler, ma anche perché è un film di Spike Lee; e, come tutti i film di Spike Lee (o quasi tutti), la trama è solo un pretesto, una sorta di cornice più o meno coerente dentro cui si parla di altro, di molto, a volte di troppo.

Usando similitudini geometriche, credo che la regia e lo stile di Spike Lee siano un costante incontro/scontro tra cubi e sfere: là dove si combinano o perlomeno si toccano, scaturisce un'opera di qualità; là dove, invece, si scontrano e si evitano, allo spettatore riesce solo il ricordare alcuni momenti dell'insieme, ma non certo l'opera nella sua forma integrale.
A mio avviso, l'unica eccezione a questo stile ostile è La 25esima Ora, capolavoro sferico di raro nitore e di assoluta qualità etica ed estetica.
Ecco, questo Da 5 bloods è solamente cubico, con i cubi che al massimo possono sfiorarsi negli angoli, ma che non riescono mai ad avere almeno un lato in comune. Recitazioni fuori registro, a volte liriche e addirittura sublimi, altre volte inutilmente esagerate, che collegano varie scene sin troppo indipendenti tra loro.
Con la irrefrenabile voglia di correre verso la denuncia, Spike Lee ha perso la bussola della narrazione, rinunciando alle sue sfere (per restare nella grammatica di questo post), affidandosi troppo all'indulgenza dello spettatore.

Mi spiego. Denunciare che non si è mai parlato della corposa presenza di afroamericani in Vietnam, è giusto e sacrosanto. Portare avanti questa denuncia, rinunciando alla retorica e all'idea facile del "nero buono e vittima", è una grandissima e nobile scelta. Ma andare direttamente sul versante opposto, delineando figure tutte "sporche" e troppo intrise di quotidiane contraddizioni, fa perdere di vista l'intento originario dell'intera operazione. Un po' di equilibrio, diamine!
Splendida la fotografia, di sublime bellezza.
Intelligente e coraggiosa l'idea di mantenere l'età degli attori "attuali" anche quando interpretano i loro trascorsi in guerra (aiuta il passaggio tecnico dal 16/9 al 4/3).

Da lacrime di commozione l'utilizzo dei capolavori che Marvin Gaye scrisse proprio contro la guerra del Vietnam, in alcuni casi proposti nella sola versione a cappella.
Appena terminata la visione, ero propenso a dargli un 6 meno meno; passato qualche giorno di decantazione, mi sono scoperto più buono e mi sento di dare un 6 e mezzo. Lo so, lo so: adesso Spike Lee se ne dovrà fare una ragione.

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