Queste sono in estrema sintesi le tre stagioni inventate da Nic Pizzolatto e sviluppate in tre storie indipendenti tra loro, sia nelle trame che negli attori/personaggi coinvolti.
L'unica costante è l'architettura delle sceneggiature, con l'utilizzo di due o tre spazi temporali diversi, tramite cui si sviluppa l'intreccio, spesso complesso ma mai complicato.
La prima stagione ruota intorno alla mostruosa eccellenza di Matthew McConaughey: una recitazione di sorprendente perfezione che rischia raramente il gigionismo e che dà chiaramente la sensazione di un doppio work in progress, quello dell'attore e quello del personaggio; e francamente risulta difficile resistere alla tentazione di rivedere e rivedere più volte certi suoi monologhi (lattine sminuzzate comprese).
Limitato di suo, ma ben incastonato, il prevedibile Woody Harrelson, che ormai recita se stesso da una vita.
Storia avvincente e dolorosa, splendida scelta delle musiche, ottima fotografia (arricchita da un miracoloso piano-sequenza di sei minuti che dà una botta di vita alla quarta puntata, altrimenti interlocutoria).
La seconda stagione è stata massacrata dalla critica. E francamente mi è sfuggito il motivo. Più la guardavo e più mi dicevo: ma perché i critici l'hanno demolita? Cosa manca?
Se è una storia dichiaratamente diversa, se gli attori/personaggi sono meno inclini a Nietzsche, se la trama è più lineare, che problema c'è?
Oltretutto, la sceneggiatura regge dall'inizio alla fine (mentre nella prima, se non fosse per Mac-coso, alcuni momenti sarebbero di pura prassi), le musiche mantengono le premesse della prima, la fotografia lavora bene che è un piacere (da sottolineare i 68 punti macchina del lungo conflitto a fuoco della quarta puntata).
Potremmo stare le ore a discettare sull'eccessiva lunghezza della morte nel deserto del bravo Vince Vaughn, ma sarebbe pretestuoso e ingeneroso.
La vera batosta la dà la terza stagione, una rottura di coglioni cosmica che invece alla critica è piaciuta moltissimo. Comunque lo trucchi (giovane, adulto, vecchio), Mahershala Ali mantiene sempre la stessa strabuzzata espressione; la trama è incolore e vuota; la musica è un continuo e inutile carico di frastagliate tensioni senza capo né coda. Si salva giusto Stephen Dorff, in alcuni momenti sorprendente, sia per tessitura espressiva che per gamma recitativa.
Soldi buttati via per un accrocco di storia che viene rimessa a posto con la sola puntata finale. E se provate a sperare che la quarta regali qualcosa di scoppiettante come in quelle delle due precedenti stagioni, rassegnatevi alla noia più noiosa.
Mi sono lambiccato il cervello cercando di capire come fosse possibile che la critica italiana si fosse bevuta il cervello idolatrandolo e senza una voce contro; poi mi sono dato la solita, noiosa, risposta, che speravo non fosse possibile.
La prima stagione è piena di ragionamenti sulla vita, parole parole parole, ben incastonate nell'azione; roba che fa salotto e piace tanto a babbioni e aspiranti tali. La seconda ragione ha il gravissimo torto (sempre per i nostri babbioni, intendo) di essere solo pura azione. La terza stagione è quasi-militante, quindi intoccabile; e figurati, quindi, se i babbioni osano fare analisi tecnicoartistiche.
Purtroppo siamo ancora a questi livelli di critica post marxista che cerca l'"utilità" dell'arte sempre e ovunque, anche nell'intrattenimento puro. E se è intrattenimento "americano", deve superare un doppio esame, perché tutto ciò che è americano viene ancora visto con quell'antiamericanismo da barba incolta di sei giorni, che speravo fosse svanito con l'arrivo delle nuove generazioni.
Del resto, Black Panther è tra i momenti cinematografici più noiosi dell'intero Marvel Cinematic Universe, ma non lo si può dire apertamente: l'argomento e gli attori sono tabù a priori.
Ragazzi, Mahershala Ali era eccellente in House of Cards e penoso in questo True Detective: facciamocene una ragione!
Io spero solo che arrivi una Greta anche nel mondo della critica: almeno possiamo dare una bella spolverata e magari fare qualche bel trasloco.
Limitato di suo, ma ben incastonato, il prevedibile Woody Harrelson, che ormai recita se stesso da una vita.
Storia avvincente e dolorosa, splendida scelta delle musiche, ottima fotografia (arricchita da un miracoloso piano-sequenza di sei minuti che dà una botta di vita alla quarta puntata, altrimenti interlocutoria).
La seconda stagione è stata massacrata dalla critica. E francamente mi è sfuggito il motivo. Più la guardavo e più mi dicevo: ma perché i critici l'hanno demolita? Cosa manca?
Se è una storia dichiaratamente diversa, se gli attori/personaggi sono meno inclini a Nietzsche, se la trama è più lineare, che problema c'è?
Oltretutto, la sceneggiatura regge dall'inizio alla fine (mentre nella prima, se non fosse per Mac-coso, alcuni momenti sarebbero di pura prassi), le musiche mantengono le premesse della prima, la fotografia lavora bene che è un piacere (da sottolineare i 68 punti macchina del lungo conflitto a fuoco della quarta puntata).
Potremmo stare le ore a discettare sull'eccessiva lunghezza della morte nel deserto del bravo Vince Vaughn, ma sarebbe pretestuoso e ingeneroso.
La vera batosta la dà la terza stagione, una rottura di coglioni cosmica che invece alla critica è piaciuta moltissimo. Comunque lo trucchi (giovane, adulto, vecchio), Mahershala Ali mantiene sempre la stessa strabuzzata espressione; la trama è incolore e vuota; la musica è un continuo e inutile carico di frastagliate tensioni senza capo né coda. Si salva giusto Stephen Dorff, in alcuni momenti sorprendente, sia per tessitura espressiva che per gamma recitativa.
Soldi buttati via per un accrocco di storia che viene rimessa a posto con la sola puntata finale. E se provate a sperare che la quarta regali qualcosa di scoppiettante come in quelle delle due precedenti stagioni, rassegnatevi alla noia più noiosa.
Mi sono lambiccato il cervello cercando di capire come fosse possibile che la critica italiana si fosse bevuta il cervello idolatrandolo e senza una voce contro; poi mi sono dato la solita, noiosa, risposta, che speravo non fosse possibile.
La prima stagione è piena di ragionamenti sulla vita, parole parole parole, ben incastonate nell'azione; roba che fa salotto e piace tanto a babbioni e aspiranti tali. La seconda ragione ha il gravissimo torto (sempre per i nostri babbioni, intendo) di essere solo pura azione. La terza stagione è quasi-militante, quindi intoccabile; e figurati, quindi, se i babbioni osano fare analisi tecnicoartistiche.
Purtroppo siamo ancora a questi livelli di critica post marxista che cerca l'"utilità" dell'arte sempre e ovunque, anche nell'intrattenimento puro. E se è intrattenimento "americano", deve superare un doppio esame, perché tutto ciò che è americano viene ancora visto con quell'antiamericanismo da barba incolta di sei giorni, che speravo fosse svanito con l'arrivo delle nuove generazioni.
Del resto, Black Panther è tra i momenti cinematografici più noiosi dell'intero Marvel Cinematic Universe, ma non lo si può dire apertamente: l'argomento e gli attori sono tabù a priori.
Ragazzi, Mahershala Ali era eccellente in House of Cards e penoso in questo True Detective: facciamocene una ragione!
Io spero solo che arrivi una Greta anche nel mondo della critica: almeno possiamo dare una bella spolverata e magari fare qualche bel trasloco.
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