E anche nella sua autobiografia ritroviamo questa caratteristica: scrittura semplice, a volte naïve, ma racconti interessanti, ricchi di riferimenti, e forse esaurienti nel chiarire alcune diatribe ormai masticate dal tempo.
Quello che si percepisce immediatamente è una propensione quasi "animalesca" nei confronti di Gabriel, un rispetto e una stima amicale per Tony Banks, quasi silenzio per Rutheford (anzi, in un passaggio ci fa quasi la figura dello
Per carità, non è un libro proustiano, né tantomeno divertente e ricco come quello di Phil Collins, però è un testo che l'appassionato troverà molto interessante.
Onestamente, avrei preferito maggiori approfondimenti sulla tecnica e sulle canzoni; però credo che Hackett abbia più voluto dire qualcosa a se stesso che al suo pubblico, tanto che la conclusione sembra più il testamento di un vegano mancato che il bilancio di un chitarrista comunque influente.
Manca totalmente una discografia ragionata come anche un indice analitico; ma qui credo sia diretta responsabilità dell'editoria musicale, apparentemente dedicata a chi non acquisterebbe mai libri come questo, piuttosto che a chi questi libri li divorerebbe in una giornata.
Se amate i Genesis e la musica, dategli più che una lettura di sfuggita; altrimenti, vivrete lo stesso.
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