Geoff Dyer può scrivere di qualsiasi argomento, senza strafare o senza sembrare incompetente: entra subito nel cuore di ogni possibile contenuto, lo sviscera, lo sminuzza, lo racconta da prospettive inedite, poi si alza e se ne va, sorridente e guascone come solo sa essere lui. È una dote, rara, rarissima, soprattutto in questo mondo di supponenti armati di hashtag, che credono di avere il diritto di parlare di tutto senza conoscere niente.
E poi ha un sense of humor sempre puntuale, mai caciarone, sottile quando è necessario, caotico quanto basta. E in questo libro, di humor ce n'è in abbondanza. Soprattutto perché il film ri-raccontato è così ampolloso e contraddittorio di suo che se non lo presenti con il giusto sorriso, finisce che gli dài o troppa importanza o troppo disprezzo.
Dove osano le aquile è quel tipo di pellicola che appena la incontri durante lo zapping non puoi farne a meno: devi rivederlo di nuovo, confondendo per l'ennesima volta dove accade quello o dove muore quell'altro. Giuro, l'avrò visto trenta volte e ancora non riesco a ricostruirne la trama in ordine... ma perché l'ordine non c'è; e chissenefrega se non c'è, perché è un film amabilmente amabile.
Geoff Dyer ama questo film e lo ama in maniera così totale che le battute folgoranti con cui lo descrive o lo circoscrive sono sempre molto affettuose e mai irriverenti; e se sono irriverenti è perché gli vuole troppo bene.
Peccato che il libro sia così breve, o magari è la sua fortuna, perché maneggiare simili cose troppo a lungo diventerebbe stucchevole.
Certo, dovete conoscere una 'nticchia di trama. Ma, in fondo, alzi la mano chi non ha mai visto Dove osano le aquile.
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