Una giovane ragazza con preparazione umanista cerca e trova lavoro in un mondo che nulla a che vedere con la sua attitudine, dove imperano invece ingegneri informatici, carrieristi e sviluppatori, e per ben 306 pagine si lamenta di non trovare empatia, calore umano e parità di genere.
E lo fa con toni lamentosi, autocommiserativi e senza un lampo che fosse uno di curiosità o di accoglienza. Subisce ogni possibile evento - come càpita alla figura dello shlemiel (nitidamente contestualizzata in questo ritaglio del compianto Franco La Polla), senza porsi una domanda iniziale: ma cosa ti aspettavi da questo mondo?
Può anche essere che io stia ragionando per preconcetti, ma mai mi aspetterei da uno sviluppatore rampante e individualista un ragionamento articolato sulla poesia di Rilke. E comunque non lo pretenderei.
Non si capisce, insomma, perché questa personalissima e soggettiva discesa negli inferi di San Francisco - che è più l'inadeguatezza personale di accettare altri mondi, debba essere assoluta e addirittura usata come esempio nobile di denuncia di un sistema. Allora sono molto meglio le durissime parole (ma documentate!) di Shoshana Zuboff.
È vero che stiamo parlando di anni prima rispetto alla ormai diffusa consapevolezza della pericolosità del mondo virtuale, e in fondo quello di Anna Wiener è una sorta di reportage dagli inizi, quando tutto sembrava altro; ma il suo approccio e il battage pubblicitario che l'ha supportata sono decisamente stridenti ed esagerati.
Onestamente, da Adelphi non mi aspettavo un testo simile, così antipatico e infantile, specie dalla collana Fabula, che spesso ospita testi gioiello o comunque da tenere ben stretti.
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