09 febbraio 2021

MALCOLM & MARIE, un capolavoro

Titoli di testa che ricalcano quelli dei filmissimi americani anni 50, bianco/nero raffinatissimo (Kodak 35mm), fari di auto nella notte che parcheggiano sotto una splendida villa con tanto verde e comodità, una coppia afroamericana super fashion e super cool entra con disinvoltura dentro una storia che si costruisce da sola, attimo per attimo, silenzi e parole, anaffettiva ed erotica, amorosa e conflittuale.
Lui è un regista finalmente di successo, ma ha commesso un gravissimo errore egocentrico e individualista; da maschio, insomma. Lei, giovanissima e già adulta, non glielo sa perdonare, ma non glielo manifesta subito, magari in maniera esplosiva; lo fa con calma, prima con istinto e poi con ratio, costruendo un lento e inesorabile conflitto, che scaturirà poi in reciproche cattiverie gratuite e in verità dolorose.
Film stupendo, eccellente sotto ogni punto di vista, che si gusta come si può gustare un buon bourbon di qualità, sorseggiandolo lentamente, con momenti potenti e altri aggraziati, restituendo a ogni possibile area del palato la giusta dose di bontà e di soddisfazione.
Girato in soli 16 giorni, sotto il giogo della pandemia - e proprio per questo concordato in gran segreto con i sindacati dei professionisti coinvolti, è frutto della scrittura in progress del regista, Sam Levinson (figlio di tanto padre), che inciampò in qualcosa di analogo ai danni della moglie (alla produzione). 
Alla fotografia abbiamo un giovane genio ungherese, che sa come giocare con le luci e le ombre, sa come rendere le giuste sfumature tecniche che ben si amalgamano con quelle narrative, che gioca forte con tutte le sue capacità espressive senza mai pesare sull'insieme.
Montaggio di qualità che sa inseguire i silenzi, gli sguardi, le pause, ogni possibile dettaglio che tenga solidamente unite e credibili tutte le parti.
Splendide le musiche: da James Brown a Archie Shepp, da Sam Gendel agli OutKast, da cui emerge con dolce prepotenza una sontuosa "In a Sentimental Mood" eseguita da Duke Ellington e John Coltrane.
Lui è John David Washington (altro figlio d'arte): finalmente espressivo, sa giocare anche con il suo corpo, rendendo il suo personaggio ricco di sfaccettature e pieno di contraddizioni. 
Ma è Zendaya che fa veramente impressione. Così giovane e così potente sotto ogni punto di vista; uno spettacolo nello spettacolo. Per un terzo del film recita in body, mantenendo una rara forza personale che alla fine la persona senza vestiti addosso, denudata totalmente di fronte al pubblico, diventa il suo uomo, così egoista e autoreferenziale. Bravissima nel monologo che apre al finale, splendida nel saper miscelare con ricercata grazia i pregi e i difetti della sua bellezza così complessa.
Da segnalare un leggero e divertente apologo contro la critica dei bianchi di fronte a chi bianco non è: tutti i critici nostrani la stanno segnalando con passione, scrivendo esattamente le stesse identiche parole che Washington invece 
deride e stigmatizza.
Film da vedere assolutamente. E assolutamente in lingua originale (attenzione ai sottotitoli: ogni tanto si perdono nel bianco del bianco e nero).

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