Voglio un bene dell'anima alla casa editrice 66thand2nd, per lo stile, la qualità e la bontà delle sue scelte editoriali.
Ho avuto una mostruosa ammirazione per Steffi Graf: ogni volta che vinceva, era una gioia; ogni sconfitta - anche e solo un break perso, era dolore puro.
Di conseguenza, il libro scritto da una giornalista dell'Ultimo uomo, editato da 66thand2nd, che parla di Steffi Graf, doveva essere bello, bellissimo... e, invece, non mi è piaciuto; così tanto che l'ho abbandonato a metà: scelta che faccio raramente e con sofferenza.
Innanzitutto, lo stile: piatto, senza guizzi e senza cadute.
Piatto.
I tempi verbali sono sempre al presente: durante la narrazione, la giornalista indugia nel riportarci o indietro o nel presente o nel futuro, nello spazio di pochissime righe (!); diventa veramente complicato mantenere la giusta attenzione e/o comprendere cosa stia accadendo e quando.
I tempi verbali sono sempre al presente: durante la narrazione, la giornalista indugia nel riportarci o indietro o nel presente o nel futuro, nello spazio di pochissime righe (!); diventa veramente complicato mantenere la giusta attenzione e/o comprendere cosa stia accadendo e quando.
Poi, la storia: quasi-radiocronache affollate di aggettivi, deduzioni personali, descrizioni ricche di luoghi comuni; manca un'intervista alla diretta interessata o al suo staff o al suo vicino di casa, a meno che non vogliamo considerare le scarne dichiarazioni riprese da altri media.
Manca un indice analitico e/o un palmares strutturato come una mappa concettuale.
Alla fine, mi sono emozionato di più a (ri)leggere la pagina inglese di Wikipedia su questa inestimabile campionessa; e non è una gran cosa.
Mi dispiace molto scrivere queste righe, ma un po' sono anche inca@@ato con l'autrice, perché doveva fare meglio; e con 66thand2nd, perché poteva lavorarci sopra.
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