Due modi diversi di raccontare il mondo, che adoro e apprezzo in egual modo. Del resto, i due furono anche amici: guarda caso, Chatwin volle che le sue ceneri venissero sparse in un posto fascinoso della Grecia che aveva scoperto proprio grazie a Fermor.
Poi ci sono scrittori come Nick Hunt, innamorati del viaggio e innamorati di queste figure mitiche e mitizzate, che hanno l'arguzia e l'intelligenza di non cercare di essere diversi da queste ombre così immense. E, infatti, Hunt ha percorso lustri dopo lo stesso identico itinerario che Fermor aveva percorso/raccontato in due (e mezzo) dei suoi libri, passando per Olanda, Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Turchia.
Il suo pregevole libro, insomma, non rincorre Fermor né la nostalgia, ma presenta il presente di quei luoghi e di quei percorsi, con tutte le sue contraddizioni figlie del modernismo, della caduta del Muro, del melting culturale che consuma ogni diversità e smussa ogni dolce contraddizione. Un libro che scorre via con coraggio e pulizia, anche con la consapevole consapevolezza che niente potrà mai essere meraviglioso e unico come meravigliosi e unici erano invece gli scorci ancestrali raccontati da Fermor.
C'è un rito, un omaggio quasi, che Hunt celebra ogni volta che termina idealmente i lunghi percorsi raccontati in ognuno dei due libri e mezzo: prende la sua copia, masticata da mille letture e centinaia di sottolineature, e la cala nell'acqua del Danubio, abbandonandola al suo destino.
In fondo, la Memoria più bella è quella che portiamo nei ricordi della sola nostra mente, così ricchi di contraddizioni e così spudoratamente inclini ad affievolirsi tra le pieghe dell'età.
In fondo, la Memoria più bella è quella che portiamo nei ricordi della sola nostra mente, così ricchi di contraddizioni e così spudoratamente inclini ad affievolirsi tra le pieghe dell'età.
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