Il 25 luglio scorso ho autopubblicato il mio nuovo romanzo (il terzo, quello più sentito), ghiaccio del mio respiro, di cui qui di seguito vi riporto la terza di copertina.
“Mi chiamo Andonis e sto per morire”. Iniziare il primo capitolo con la fine di una trama, non è buona cosa. Ma è complicato riassumere in poche righe le vicende di un giovane cretese che vivrà una storia epica.
Povero,
accudito con amore da due zii, opposti per indole e carattere, Andonis assapora
un’adolescenza di quelle che tutti vorremmo vivere: costruendo castelli
immaginari, insieme all’amico che tutti vorremmo avere; amando una ragazza
ideale, che tutti gli amanti ideali vorrebbero incontrare.
Finché,
un bel giorno, il destino gli impone di scappare da Creta, ovviamente su una
nave (lui, che soffre il mal di mare), ovviamente solcando il mare (lui, che
odia l’acqua salata). E già in questa occasione ha modo di assaggiare il gusto
delle piccole e grandi scoperte, dove tutto è unico, dove tutto va divorato,
dove tutto va raccontato.
A Londra,
Andonis conosce la sua vera destinazione: la Terra Nova, la nave di
Scott, il Capitano Scott, l’esploratore britannico che di lì a poco salperà
verso il Polo Sud, per conquistarlo prima di tutti gli esseri viventi, in
compagnia di un pugno di uomini fidati. E Scott vuole con sé anche Andonis,
perché quel suo vivere la meraviglia in maniera così semplice e autentica
sarà per tutti riferimento e conforto, sprone e passione.
Arriveranno
in mezzo ai ghiacci, isolati dal resto del mondo, costretti ad adattarsi
costantemente alle rigidità del Deserto Bianco: l’Antartico è (era) ancora
padrone di se stesso, e solo pochi folli possono immaginare di attraversarlo.
Anche qui, Andonis respira ogni evento con quell’entusiasmo incosciente, tipico
di un’età che non dovrebbe mai spegnersi.
Ma,
come recita la Storia ufficiale, le cose non andranno per il verso giusto:
Scott arriverà secondo alla mèta e morirà sulla strada del ritorno, a soli 17
chilometri dalla postazione di soccorso più vicina. Per Andonis la parola
“fine” dura pochi attimi, perché prima di morire vorrà raccontare la sua
versione di quella sconfitta così amara, con quel suo modo ingenuo e forse
romantico di trasformare una disfatta in una bellissima avventura.
Più che un romanzo di formazione, questa è
una storia che l’autore avrebbe voluto vivere in prima persona.
Della documentazione indicata nella
bibliografia (oltre ai diari dello stesso Scott, i meravigliosi testi di
Patrick Leigh Fermor), ha cercato di raccontare le emozioni che ne scaturivano,
non i fatterelli nudi e crudi.
Emozioni che iniziano tutte da una lettura giovanile, quando Alessandro Loppi, a soli 12 anni intravide nella biblioteca di casa un libro rilegato che raccontava le gesta degli “Eroi polari”.
Se vi ho convinti, cliccate qui e buona lettura
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