29 giugno 2020

JUANITA, ovvero aridanghete

Juanita ha un lavoro insoddisfacente e una famiglia incasinata. Un bel giorno, molla tutto e va là dove il destino decide di accompagnarla. Scoprirà sensazioni insospettabili e una storia d'amore di quelle imprevedibili.
Segnalo questo film perché dispone su un piatto d'argento tutte le contraddizioni del politically correct: lei è di colore, la sua amica improvvisata è lesbica, il nuovo amore è un nativo d'America. Ingredienti necessari e quasi obbligatori, ma che nulla aggiungono a una vicenda vacua, una regia pigra e recitazioni di plastica da rivista dozzinale che trovi nelle sale d'aspetto. 
Ma, appunto, c'è il timore reverenziale di scriverlo, di dirlo, anche e solo di pensarlo.
E poi che vogliamo dire delle "citazioni"? Le "apparizioni" dell'attore preferito da Juanita ricalcano il Provaci ancora Sam di Woody Allen; la seconda parte della trama è identica a Bagdad Café; il corollario - lungo e snervante - nel campo nativo è a metà tra Balla coi lupi e L'uomo chiamato cavallo; la scena finale, uccisa da un'inquadratura scellerata, ammicca ai Quattrocento colpi.
Se poi volete comunque perdere tempo, fateci caso: finché Juanita non scappa via di casa, le inquadrature sono identiche; sempre la stessa sezione aurea!
Ho visto che negli USA ha preso la sufficienza stiracchiata; ma qui in Italia, nei social e in qualche blog ho letto sbrodolamenti entusiasti. 
Ripeto disperatamente quant'ho accennato a proposito di Da 5 Bloods di Spike Lee: non è che tutto quello che non sia bianco-cristiano-occidentale debba essere automaticamente osannato! Fa male alla credibilità della critica e fa male alle cause, ultima in ordine di tempo quella di BlackLivesMatter!

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