12 ottobre 2020

K. di Roberto Calasso (Adelphi)

Quarto di un'opera in undici volumi, questo saggio-racconto di Roberto Calasso è totalmente incentrato su Kafka. A differenza, però, dei primi tre, è quasi obbligatorio conoscere l'opera omnia dello scrittore praghese, altrimenti non si apprezzano allusioni, riferimenti e interferenze.
Certo, potreste farmi la sana e sensata obiezione che i saggi precedenti avevano comunque lo stesso "limite" (sempre che di limite si possa parlare); ma qui le cose sono decisamente differenti. 
I riferimenti dei precedenti, infatti, o erano alla portata di tutti anche e solo in superficie (Cadmo e Armonia), e quindi le analisi di Calasso diventavano almeno accessibili, seppur profonde e complesse; oppure venivano raccontate, quasi spiegate, prima ancora di essere analizzate (Ka), aiutando quindi il lettore ad orientarsi.
Stiamo comunque parlando di Calasso, uomo colto e di rara sapienza, con l'invidiabile capacità di saper spaziare ovunque, senza strafare o senza forzare la mano; ma in questo caso mi sono spesso perso nello sforzarmi di ricordare la bibliografia di Kafka, che onestamente avevo affrontato solo in età scolastica e quasi svogliatamente.
Persiste, comunque, questa sensazione che Kasch sia una sorta di tesi - e che i testi successivi siano uno sviluppo analitico e circostanziato di ogni aspetto di questo punto di partenza. 
Cadmo e Armonia racconta come e quanto sia importante la comprensione del senso della perdita del mito; Ka ammonisce sulla perdita dell'idea del nulla come senso della creazione e del sacrificio.
Il senso di fondo di K. sono il peccato e la punizione, visti dal praghese come soluzione preventiva e interconnessa, anziché come premessa a un processo vero e proprio, con diritti equamente suddivisi tra accusatore e accusato.
Io non credo che chi scrive questo tipo di saggi debba essere al servizio di tutti; per cui - e alla fine - il limite della comprensione sta tutta in chi legge. Insomma, scegliere di leggere volumi simili implica una necessaria conoscenza di base che io non ho.
Però, nonostante questo mio limite, confesso che mi sarebbe piaciuto godermi tanta sapienza inseguendo il doppio passo dei testi precedenti. 
Una cosa è certa: mi è venuta voglia di rileggere Kafka.

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