25 settembre 2020

KA di Roberto Calasso (Adelphi)

Terzo dell'opera di (per ora) undici volumi di Roberto Calasso, questo Ka conferma la mia deduzione di partenza: La rovina di Kasch era una sorta di "piano dell'opera", di prolusione su temi eterogenei che portavano a una serie di tesi sviluppate nello stesso testo; i volumi successivi, rappresentano l'analisi e lo sviluppo di ognuno degli elementi probanti.
L'argomento è affascinante: il racconto della mitologia indiana senza scadere nell'agiografia e nell'ideologia, ma soprattutto senza indicarne ragioni o torti, o comunque pregi. Il che rende la lettura molto più avvincente e in qualche modo anche "divertente". Più che un viaggio dell'anima, è una prova intellettuale, proprio perché abbiamo di fronte una cultura e un linguaggio lontanissimi dal nostro modo di concepire i rapporti di forza dei miti. Tanto che, quando nelle ultime pagine mi sono imbattuto in Buddha (il "risveglio", che invece "i pavidi traducono in illuminazione"), mi sono chiesto come diamine sia venuto fuori quel para-movimento pseudo-religioso praticato da noi occidentali (con tutte quelle contaminazioni cristiane che i buddhisti fanno finta di non avere nel proprio tessuto di credenti).
"Ciò che avvenne prima della nascita degli dèi fu tutto una guerra della mente, qualcosa che, anche se già molti erano i nomi, avveniva sempre e soltanto fra due attori: la mente e il suo esterno". L'idea di principio, insomma, si perde totalmente (così come quello di ciclicità coerente, tipica della cultura scientista; ma non è il caso di approfondirla, perlomeno in questo post). Del resto, il brahman non ragiona per alto e basso: "il brahman si incontra a tutte le altezze".
"Il mondo è come un manto che va indossato, altrimenti si impolvera". E prima di questo cosa c'era? "Circolava un'immagine prima che l'oggetto esistesse. Un soffio prima che ci fosse una carne da animare. Un desiderio prima che ci fosse un corpo". È come se Calasso ci dicesse che prima è nata l'esigenza, poi l'oggetto che le dava un senso. 
E fuori, cosa c'è fuori? "Il firmamento è una tenda che copre il mondo. Noi vediamo l'interno della tenda. Ma cosa vedremmo se fossimo stesi sul suo rovescio? Vedremmo lo spazio di luce che non ha mai fine".
Ma è in questo passaggio che credo di aver trovato la tesi che caratterizza questa mitologia: "Morte e duplicazione procedono insieme. L'una non appare senza l'altra. La scienza del riflesso e della scissione, lo sprigionarsi dei doppi, la sostituzione sistematica, gli sguardi simultanei verso di sé e verso l'esterno: sono opere della duplicazione. Ma la duplicazione è accompagnata da Morte. E soltanto la conoscenza può sconfiggere Morte. Questo è il cerchio".
E quindi arriviamo al nodo del saggio: "La conoscenza non è una risposta ma un'interrogazione che sfida: Ka? Chi? La conoscenza è l'ultimo sotterfugio che permette di non essere uccisi, che permette di ottenere una dilazione - provvisoria - perché la propria testa non venga tagliata". Del resto, ogni forma di comunicazione si basa sul parlato. E lo strumento del parlato è la Parola: "Seguiremo la Parola per poterla abbandonare".
Insomma, una lettura intrigante e di gran valore.

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