31 dicembre 2020

L'INNOMINABILE ATTUALE di Roberto Calasso (Adelphi)

Nono pannello di un'opera tutt'ora in corso, questo breve ma entusiasmante saggio di Roberto Calasso andrebbe forse interpretato come capitolo aggiunto (ma indipendente) del primo pannello. Infatti, questo titolo così folgorante, innominabile attuale, compare come riga isolata tra i paragrafi isolati de La rovina di Kasch, quasi come fosse un avviso, una sentenza, un'analisi, un ossimoro, un'incredibile quantità di significati costretta dentro un articolo determinativo, un aggettivo e un sostantivo che quasi lo contrasta.
Già, solo su questo titolo potremmo discettare per ore, tale è la sua capacità di evocare argomenti, pensieri, suggestioni e filosofie, anche indipendenti dalle intenzioni di Calasso stesso. 
Premesso ciò, il saggio è suddiviso in soli tre capitoli, che suggerisco di leggere singolarmente e senza pause, e che qui racconto partendo dall'ultimo.
Il terzo è una chiosa quasi disarmante, racchiusa in due sole pagine, velatamente allusiva a un momento del sesto pannello, quelle Folie Baudelaire che tanto ci avevano portato nella profondità oscura ma non ombrosa del poeta francese. Chiosa che rimanda al presente, all'attuale insomma, innominabile o no che sia. Non posso certo citarne qualcosa, anche per non rovinarvi la sorpresa insita nella sua conclusione.
Il secondo capitolo è un ordinato quanto devastante elenco di eventi collaterali al lento procedere della Seconda Guerra Mondiale, all'annientamento del popolo ebraico, a una serie di rimandi più o meno concettuali a buona parte dei pannelli più teorici di questa opera incredibile di Calasso.
Letto senza fermarsi mai, è un capitolo che elenca la debolezza insita dell'Homo saecularis, ormai ben lontano da quelle nobili suggestioni che avevamo incontrato negli altri testi di Calasso.
Durante la descrizione delle ignominie tedesche, compare già un ipotetico link tra il precedente Cacciatore Celeste e il prossimo Libro di tutti i libri, quando cioè scrive: "I nazisti erano la tardiva rappresaglia del mondo animale verso la specie che ne aveva violato l'ordine; e gli ebrei erano i rappresentanti eletti di quella specie". È un passaggio che resta fermo su se stesso, perché la sospensione narrativa e quella emotiva sono tali che passa quasi inosservato.
Il primo capitolo è folgorante: non c'è paragrafo, riga, parola, spazio, che non siano condivisibili, che non costringano a una lettura-rilettura, sia per la densità che per l'acume con cui viene raccontato questo momento attuale, questa volta decisamente innominabile: "La sensazione più precisa e più acuta, per chi vive in questo momento, è di non sapere ogni giorno dove sta mettendo i piedi. Il terreno è friabile, le linee si sdoppiano, i tessuti si sfilacciano, le prospettive oscillano. Allora si avverte con maggiore evidenza che ci si trova nell'«innominabile attuale»".
E l'idea di come proceda questo mondo non è decisamente un complimento: "È un mondo frantumato anche per gli scienziati. Non ha un suo stile e li usa tutti".
A forzare la mano, un'affermazione del genere fa venire in mente che in una parte consistente della biblioteca adelphiana, la frantumazione - la quantizzazione, insomma - sia una costante editoriale, e non solo della Biblioteca Scientifica. Come se da sempre Calasso abbia sentito e senta l'esigenza di ricomporre questa frantumazione, di darle un senso, un'origine e un significato.
Altro elemento nodale dell'attuale è il terrorismo: "Fondamento del terrore è l'idea che soltanto l'uccisione offra la garanzia del significato. Tutto il resto appare labile, incerto, inadeguato [...] Come ogni pratica sacrificale, il terrorismo islamico si fonda sul significato. E quel significato concatena ad altri significati, tutti convergenti verso lo stesso motivo: l'odio per la società secolare".
Società secolare che "ha una paura tremenda di quella che è stata la sua più grande scoperta: l'alleggerimento, lo svincolarsi dagli obblighi rituali e confessionali. Invece di apprezzare questa situazione sospesa e prenderla come possibile inizio di nuove mosse, si precipita a ingabbiarsi nelle cause, buone o pessime che siano. E quelle cause sono innanzitutto palliativi".
Cause che sono palliativi. Come questa: "I secolaristi si accorsero che non erano soli. E che non occupavano tutto il mondo. Le procedure si applicavano ovunque, ma i secolaristi vivevano solo in una certa parte del pianeta - e neppure la maggior parte. Si sentirono improvvisamente assediati da stranieri, che chiamavano migranti. I quali volevano usare le loro procedure, ma continuavano a guardarli con l'occhio infido di chi si sente altrove".
Non resta che rivolgersi alla religione, alle chiese, alla Chiesa: "Homo saecularis applica precetti di eredità cristiana, ammorbiditi e edulcorati. Soluzione tiepida e pavida, si combina, in senso inverso, con il movimento in corso nella Chiesa stessa, che cerca sempre più di assimilarsi ad un ente assistenziale. Il risultato è che i secolaristi parlano con una compunzione da ecclesiastici e gli ecclesiasti ambiscono a farsi passare da professori di sociologia".
Il pensiero della società secolare, insomma, "è ciò che rimane dopo un processo di svuotamento progressivo, operante da un certo numero di millenni".
Non se la passa bene neanche la democrazia: "Rispetto a tutti gli altri regimi, la democrazia non è un pensiero specifico, ma un insieme di procedure, che si pretendono capaci di accogliere in sé qualsiasi pensiero, eccetto quello che si propone di rovesciare la democrazia stessa. Ed è questo il suo punto vulnerabile, come si dimostrò in Germania nel gennaio 1933 [...] La democrazia formale è senz'altro la più perfetta versione della democrazia, ma anche la più inapplicabile. Soprattutto quanto è stato superato un certo meridiano della Storia e le pressioni demografiche, etniche, psichiche diventano sopraffacenti. Allora risorge la chimera della democrazia diretta. Suo fondamento è l'odio per la mediazione, che facilmente diventa odio per il pensiero in sé, indissolubilmente legato alla mediazione".
L'innominabile attuale è anche (nella) tecnologia: "All'inizio del nuovo millennio, quando si stabilizzò l'impero digitale, divenne chiaro che controllo significava innanzitutto controllo dei dati. E la situazione si rovesciò. Quei dati non venivano più estratti a forza dall'alto, ma spontaneamente offerti dal basso, da innumerevoli individui. Ed erano la materia stessa su cui esercitare il controllo". Chissà se abbiamo capito quello che ho appena trascritto, perché è esattamente quello che andrebbe detto.
Bellissimo l'apologo sugli hacker, che ho citato anche in questa puntata di WikiRadio, andata in onda su Rai Radio3 l'11 novembre 2020: "La traduzione di hacker come «pirata informatico» è imprecisa e sviante perché ignora l’aspetto di operazione sulla forma che è insito nel termine inglese. Hacker è qualcuno che taglia, intacca, e - eventualmente - smonta, ricompone, frantuma una forma. Senza questa azione sulla forma non si dà hacking; la pirateria invece è un puro atto di aggressione e sottrazione […] Ogni software richiede operazioni di codifica universale e onnilaterale, Ogni codifica è una sostituzione. Ma anche la codifica può essere sostituita. E magari da un «codice maligno», come si usa dire nel gergo informatico. È questo il karman della digitalità. Chi di sostituzione ferisce, di sostituzione può facilmente perire".
Potrei scrivere decine e decine di citazioni vere e attuali; ma preferisco congedarmi con quelle due che ci riguardano da vicino, a noi pionieri della tecnologia, ma soprattutto ai ragazzi che sono cresciuti e cresceranno circondati da questo impalpabile attuale: "Un immane sconvolgimento psichico, che nessuno sarebbe in grado di circoscrivere, è stato provocato - e continua ad esserlo - dalla confluenza fra il digitale e il digitabile. Il sapere assume la forma di una singola enciclopedia, in perenne, proliferante espansione e in linea di principio digitabile. Enciclopedia che giustappone informazioni impeccabilmente veritiere e informazioni infondate, ugualmente accessibili e sullo stesso piano. Ciò che è digitabile appartiene a ciò che è famigliare, perché trattabile con affettuosa noncuranza. Il sapere perde prestigio e appare come fatto di voci - nel senso di voci di un'enciclopedia e di voci vaganti, incontrollabili".
L'affondo finale è disarmante (che poi spettacolizzare questa citazione con una premessa simile, conferma il postulato della citazione stessa): "C'è poi un altro aspetto, non meno dissestante, della disponibilità informatica. Chiunque si è trovato a poter produrre, senza alcun vincolo, parole e immagini, virtualmente divulgabili ovunque, per un pubblico illimitato. Tanto è bastato per suscitare un diffuso delirio di onnipotenza, ma non più come fenomeno clinico. Al contrario, come arricchimento della normalità. La mitomania è entrata a far parte del buon senso".


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